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La Twitter fiction esiste?

Il primo Twitter Fiction Festival (hashtag: #Twitterfiction) ebbe luogo un po’ in sordina nel 2012. Quest’anno l’esperienza si ripete, dal 12 al 16 marzo. Per cinque giorni autori celebrati e gente comune pubblicheranno su Twitter le loro storie di finzione (“fictional ideas”). I 25 autori in gara, già definiti «winners», sono stati selezionati da una giuria di esperti del mondo editoriale americano. Essi parteciperanno al Festival insieme a 25 «featured authors», tutti di lingua inglese e cultura anglosassone. Fra i concorrenti, invece, ci sono due autori che scrivono in spagnolo e la squadra italiana di Twitteratura.

Il progetto italiano consiste nella riscrittura di cinque poesie di Cesare Pavese dalla raccolta Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, dedicate all’attrice americana Constance Dowling. Tre di queste furono scritte da Pavese direttamente in inglese; inoltre Beppe Fenoglio ne tradusse due dall’inglese all’italiano e una dall’italiano all’inglese. Le riscritture si svolgeranno ognuno dei cinque giorni, dalle 8 alle 9 am, e saranno contrassegnate dall’hashtag #TwitterFiction/Pavese. Tutti i dettagli sono disponibili nel post Partecipa al Twitter Fiction Festival.

Sono pronto a scommettere che questa volta si parlerà di più del Festival. Anzi, se ne sta già parlando di più. E non solo perché è stato promosso dagli organizzatori – Twitter, Penguin Random House e Association of American Publishers – con grande dispiego di mezzi. Il punto è che i tempi sono più maturi, come dimostra la notevole qualità delle proposte selezionate. Trovo di grande interesse, fra gli altri, il progetto di Katie Fforde (@KatieFforde) che darà voce a una ventenne in fuga dalla madre, proponendo il live tweeting del suo appuntamento al buio. Così come promette bene l’idea di Chris Arnold (@chrisarnold), il quale ricostruirà a colpi di tweet la scena corale di un aeroporto paralizzato da una tempesta di neve, integrando contenuti testuali, immagini e mappe. O ancora i tweet post mortem del personaggio di Omar J. Sakr (@omarjsakr) e quelli del cane di Terry Bain (@youareadog). Naturalmente sono solo idee. Da domani soppeseremo la qualità dei tweet.

Il presupposto del Festival è semplice: Twitter non serve solo a condividere notizie e fatti relativi alla vita di ogni giorno, ma anche a produrre narrativa di finzione. Usare Twitter per fare fiction, tuttavia, non vuol dire semplicemente raccontare una storia un tweet alla volta (“tweeting out a narrative line-by-line”): il Festival premia la fiction che usa la piattaforma in modo creativo. Nel sito ufficiale della manifestazione sono indicate alcune possibili modalità di lavoro in chiave finzionale. Ci sono, in primo luogo, i cosiddetti “fictional accounts”. Il gioco consiste nel creare un’utenza di Twitter che interpreta un personaggio di finzione (es.: @TwLuciaM, avatar della manzoniana Lucia Mondella) o un autore (es.: @Manzoni_Ale, @PasoliniPP, @PaveseCesare, @GiRodari). Chi anima l’account si cala nel contesto della figura interpretata, adottandone linguaggio, idee e psicologia. Non si tratta di un fake in senso classico, poiché l’intento parodico è dichiarato: non c’è inganno, ma sospensione dell’incredulità (“suspension of disbelief”, secondo la nota definizione di Samuel Taylor Coleridge).

C’è poi il lavoro di crowd sourcing, ovvero la creazione di forme di narrazione collaborativa, in cui una folla di autori contribuisce alla costruzione e allo sviluppo della medesima storia. Durante il Festival del 2012, per esempio, Jennifer Wilson (@WriterJenWilson) pubblicò misteriose immagini di lapidi e raccolse tutti gli epitaffi composti – a partire da quelle immagini – dagli utenti di Twitter. Il tema dello storytelling collaborativo abilitato dalle tecnologie della connessione, d’altronde, è molto ampio ed è oggetto di infinite sperimentazioni. Approfondirò il tema in uno dei prossimi post.

Una particolare forma di storytelling collettivo è costituita dallo sviluppo di personaggi multipli: vengono creati più account corrispondenti a differenti narratori, i quali raccontano la medesima vicenda dai rispettivi punti di vista. La formula rimanda a un espediente molto usato in letteratura, teatro e cinema. Il problema è riuscire a salvare l’integrità del percorso narrativo all’interno della timeline di Twitter, in cui c’è un forte rumore di fondo. Anche in questo caso analizzerò in dettaglio, in un post a venire, questa forma di storytelling.

Il “Guardian” si domanda se le esperienze del Festival preludano a un nuovo genere letterario (Claire Armitstead, Has Twitter given birth to a new literary genre?, “The Guardian”, 10 gennaio 2014). L’editore Penguin ha creduto di dare una risposta già nel 2009, definendo la twitteratura (“twitterature”) come un esercizio scherzoso, in cui il messaggio di un capolavoro è ridotto alla sua essenzialità: l’Amleto di William Shakespeare in 140 caratteri. Intorno a questo concetto è nata un antologia di parafrasi letterarie tascabili, in cui decine di capolavori sono compendiati in altrettanti tweet (Alexander Aciman, Emmett Rensin, Twitterature: The World’s Greatest Books Retold Through Twitter, Penguin, New York, 2009).

Twitterature cover

Dunque la twitteratura è – semplicemente – l’arte del riassunto sagace? Io non lo penso. Sono convinto che il discorso sia molto più complesso. Certo, Twitter rimanda inesorabilmente al paradigma della brevità espressiva. Tuttavia la mia esperienza con Twitteratura.it ha voluto dire lavorare su presupposti concettuali molto più ampi. Tanto per cominciare, c’è la convinzione che Twitter rappresenti uno strumento potente di manipolazione di un testo: manipolazione che è funzionale allo studio e alla comprensione di quel testo. Twitter come strumento di conoscenza, insomma, più che di supporto alla creatività artistica. Perché conoscere un testo, dipinto o film significa impossessarsene, smontandolo e rimontandolo. In altri termini in questi due anni Twitteratura.it si è interessata più alla riscrittura che alla produzione di testi originali. D’altra parte la conoscenza è un processo collaborativo e sociale, non individuale. In questo senso le tecnologie della connessione, come Twitter, diventano un fattore abilitante.
Vi è infine la scoperta della dimensione soggettiva dell’esperienza. Leggere un contenuto culturale significa anche raccontare se stessi: dietro ogni interpretazione c’è un’autonarrazione. Impegnarsi in questo gioco fa stare bene: la crescita culturale dell’individuo è anche emancipazione sociale e autodiagnosi.

Come di consueto, di seguito il materiali presentati durante la lezione di oggi del corso Leggere e scrivere letteratura con Twitter:

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