Mnémosyne - Château de Compiègne

La cura della memoria e la differenza fra un meme e la letteratura

Il meme è ciò che si diffonde per imitazione, la memoria è un contenuto che si sedimenta e sopravvive in noi. Il meme è un anestetico che atrofizza la memoria. La letteratura è il suo antidoto.

Nella Giornata della Memoria, c’è da scommetterci, saremo sommersi da memi. I più adatti fra essi si propagheranno, attraverso infinite mutazioni, perché questo è il loro mestiere. Ma i loro contenuti non si sedimenteranno nella memoria. Perché, come aveva già evidenziato Walter Benjamin, il tramonto della modernità coincide con l’atrofia dell’esperienza (Erfahrung), intesa appunto come sedimentazione dei contenuti nella memoria e loro rimanifestarsi in forma di autocoscienza. Tale atrofia è legata alla velocità delle modificazioni che investono la vita dell’individuo e quindi alla difficoltà di disporre della trama del proprio passato.

Siamo sottoposti a una serie di choc, suggeriva lo stesso Benjamin, determinati dal progresso tecnologico. Essi hanno effetti potenzialmente traumatici, che dobbiamo sterilizzare. L’atrofia dell’esperienza è funzionale alla sopravvivenza del nostro sistema psichico, in quanto ci protegge dall’assorbimento di stimoli troppo forti. Si tratta di un’ipotesi non molto diversa da quella formulata da Marshall McLuhan a proposito della tecnologia come causa di narcosi e intorpidimento dell’esperienza.

Non confondiamo dunque il meme con la memoria. Anche etimologicamente, sono termini distinti. Meme, dal greco μίμημα («imitazione») ha la radice μιμ, la stessa di μίμησις. Memoria, che giunge a noi dal latino attraverso il francese, integra invece la radice indoeuropea men («ciò che persiste»), che ritroviamo nel sostantivo μνημοσύνη (cfr. la divinità greca Mnemosine, figlia di Urano e Gena) e nel verbo μιμνήσκω.

Il meme è ciò che si diffonde per imitazione, la memoria è un contenuto che si sedimenta e sopravvive in noi. Il meme è un anestetico che atrofizza la memoria. La letteratura è il suo antidoto. I libri sono, fra le altre cose, formidabili strumenti per ricordare. Il libro è una forma espressiva della nostra memoria. Si scrive un libro, anche, come atto di resistenza all’oblio.

Ciò è senz’altro vero quando la memoria diventa un’urgenza non solo privata. Quell’urgenza che Italo Calvino definiva «smania di ricordare» nella prefazione del 1964 al suo primo libro, Il sentiero dei nidi di ragno, il quale aveva visto la luce nel 1947: «si era […] carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari drammatiche avventurose, ci si strappava le parole di bocca». Il 1947 è anche l’anno della prima edizione di Se questo è un uomo di Primo Levi. Lo stesso Levi che, ancora nel 1955, segnalava, in un articolo su «Torino. Rivista mensile della città»: «A dieci anni dalla liberazione dei Lager, è triste e significativo dover constatare che, almeno in Italia, l’argomento dei campi di sterminio, lungi dall’essere diventato storia, si avvia alla più completa dimenticanza».

Era ancora vivo, immaginiamo, lo sconforto di Levi per il rifiuto di Se questo è un uomo da parte di diverse case editrici, inclusa Einaudi, e per la scelta, in un certo senso obbligata, di affidare il romanzo ai tipi di De Silva. Solo nel 1958 l’opera verrà accolta, in una seconda edizione con varianti significative rispetto a quella del 1947, proprio da Einaudi.

Ma il rapporto tra letteratura e memoria, e quindi tra finzione e verità, non coinvolge solo testimoni come Levi, i quali sembrano abbracciare il mestiere di raccontare perché mossi dall’insopprimibile dovere di ricordare, ossia «richiamare al cuore». La letteratura è un esercizio difficile, nel quale, attraverso l’espediente dello stile, si combattono gli inganni della memoria, che sono tremendi quanto quelli dell’oblio. Per curare la memoria non c’è che lavorare in modo obliquo su ciò che ricordiamo. Quando abbiamo dimenticato tutto e non sappiamo più chi siamo, quando il presente ci appare «una macchia senza senso», non c’è che la scrittura, come suggerisce Kader Abdolah, in quello splendido romanzo sull’ostinazione della memoria che è Il faraone d’Olanda. Tutto il resto è meme.

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