Le democrazie occidentali sono in condizione di tollerare i nuovi pirati, i vari Julian Assange e Aaron Scwartz?
Non c’è narrazione, per quanto convincente, priva di contraddizioni. È così anche per l’idea di libertà online portata avanti dall’Occidente e dagli Stati Uniti in particolare. Nella lezione di ieri abbiamo descritto la drammatica lacerazione che si è consumata alla Conferenza di Dubai di dicembre fra regimi autoritari e governi liberal-democratici sulla governance di Internet. Tuttavia, ammonisce Tim Berners-Lee, “i governi totalitari non sono gli unici a violare I diritti dei cittadini in Rete” (Long Live the Web: A Call for Continued Open Standards and Neutrality, in “Scientific American”, 22 novembre 2010). E anche la “Internet Freedom Agenda” dell’amministrazione USA non fornisce una risposta univoca a una serie di legittime domande: Come aiutare le rivoluzioni online senza favorire l’uso di Internet da parte del crimine organizzato? È possibile sostenere il libero accesso a Internet all’estero, ma non la neutralità della Rete in casa? Come conciliare diritti individuali, sicurezza nazionale e grandi interessi economici?
Lo storico intervento di Hillary Clinton al Newseum di Washington del 21 gennaio 2010 (Internet Freedom) e quello non meno importante alla George Washinton University del 15 febbraio 2011 (Internet Rights and Wrongs: Choices & Challenges in a Networked World) lasciano scoperte diverse questioni. È molto facile difendere la libertà in Rete dei cittadini iraniani, siriani o birmani. È più difficile alzare la voce quando i diritti online sono violati in Bahrein (insostituibile alleato degli Stati Uniti) o in Cina (troppo potente per tollerare un confronto diretto). Ancora più difficile gestire le contraddizioni interne, che nascono nelle “zone di faglia”. Pensiamo, per esempio, all’approccio timido della Clinton per quanto riguarda il diritto all’anonimato (“anonymous speech”), diritto poco amato dalle corporation come Google e Facebook. O al fronte caldo del copyright, nell’ambito del quale anche in Occidente si fanno strada legislazioni sempre meno garantiste. La legge francese sul download illegale (2009) prevede l’oscuramento di Internet per i “pirati”. Negli USA il SOPA (Stop Online Piracy Act) avrebbe introdotto il blocco giudiziario dei siti. In Italia il quadro è in movimento, ma le pressioni degli editori sono sempre più forti. Ma pensiamo anche al rapporto irrisolto con “pirati” come Aaron Schwartz e Julian Assange, santificati da una parte della pubblicistica e condannati dalla giustizia. Ecco come – per dire – “Economist” motivava il premio Index of Censorship attribuito ad Assange nel 2008:
Having faced down an attempt by an investment bank to have it shut down, WikiLeaks continues to be an invaluable resource for anonymous whistleblowers and investigative journalists.
Di seguito il materiale presentato oggi a lezione: