The background is the message: semantica e pragmatica dello sfondo

La situazione comunicativa della videoconferenza, realizzata con dispositivi come Zoom, Meet, Teams, Webex e altri, attribuisce allo sfondo notevole rilevanza. Da un lato lo sfondo ha una funzione denotativa, ossia significa quello che mostra, ed è dunque parte integrante della narrazione visuale che mettiamo in scena. Dall’altro lato esso ha una funzione pragmatica, ossia fa accadere delle cose nella relazione.

I più comuni dispositivi di videoconferenza – Zoom, Meet, Teams, Webex e altri – comportano una comunicazione senza luogo: gli attori della comunicazione si incontrano in assenza di uno spazio condiviso e delimitato (idealmente, ma anche materialmente), entro il quale organizzare le proprie emozioni e i propri ricordi. Solo la realtà virtuale può sopperire a tale carenza, almeno in parte. Per questo occorre guardare con grande attenzione agli esperimenti di didattica online realizzati tramite Facebook Horizon o piattaforme simili. Siamo ansiosi di conoscere, per esempio, l’esito del prossimo McLuhan Seminar in Creativity and Technology presso lo University of St. Michael’s College di Toronto, che Paolo Granata svolgerà via VR.

Paolo Granata svolgerà via VR le sue lezioni al prossimo McLuhan Seminar in Creativity and Technology presso lo University of St. Michael’s College di Toronto.
Paolo Granata svolgerà via VR le sue lezioni al prossimo McLuhan Seminar in Creativity and Technology presso lo University of St. Michael’s College di Toronto.

Nella videoconferenza tradizionale ciascun attore si colloca in uno spazio privato. È ovviamente privato lo spazio fisico, dal momento che ognuno prende parte all’esperienza della videoconferenza da un luogo diverso. La natura dello spazio fisico, anzi, è in larga misura irrilevante ai fini della buona riuscita dell’esperienza stessa. L’importante è che sia garantito un adeguato accesso a Internet. Ma è privato anche lo spazio virtuale, ossia quello creato dalla piattaforma ed esibito durante la comunicazione.

In questo senso il ruolo dello sfondo può essere di volta in volta quello di riprodurre al meglio le fattezze dello spazio fisico, oppure di nasconderle. Possiamo così avere un duplice livello di disincarnazione. Un primo livello proprio perché gli attori si disincarnano da qualunque spazio fisico condiviso, senza peraltro ricostituirsi in uno spazio virtuale condiviso, come invece avviene con Facebook Horizon. Un secondo livello perché gli stessi attori si disincarnano dai loro spazi privati, ricorrendo a una serie di retoriche dello sfondo.

Densità figurativa e valori plastici

Servendoci delle categorie di Greimas (Sémiotique figurative et sémiotique plastique, 1984), diciamo che lo sfondo può avere una maggiore o minore densità figurativa, ossia tendere all’astrattezza piuttosto che rendere riconoscibili figure del mondo esterno. In ogni caso esso interagisce con l’immagine in primo piano, che rappresenta l’attante della comunicazione. Nel momento in cui selezioniamo uno sfondo, ci collochiamo in esso e creiamo un’immagine unica, sia sul piano figurativo (fingiamo di essere dentro il mondo rappresentato) sia sul piano plastico (dell’organizzazione spaziale, eidetica e cromatica).

Dicevamo di una serie di retoriche dello sfondo. La più elementare di queste retoriche è costituita dalla sfocatura (blur), che impedisce alla controparte di decodificare gli elementi di sfondo inquadrati dalla videocamera. In questo caso il contenuto semantico del background tende ad annullarsi. Semanticamente parlando, non si intende mostrare alcunché. Anzi, si vuole nascondere. La funzione pragmatica è però quella di concentrare l’attenzione sul primo piano, ossia l’immagine di chi parla. L’impatto percettivo di ciò che è sullo sfondo, e che rischia di distrarre o interferire, viene neutralizzato.

Una variante di questa tecnica è rappresentata dal fondo nero. In questo caso l’attore in primo piano emerge dal buio della scena. Un buio – si direbbe – quasi metafisico o trascendente, come quello di Caravaggio. L’immagine sgorga dall’oscurità e si impone per la sua potenza interiore.

Michelangelo Merigi da Caravaggio, Davide con la testa d Golia, 1610 (Roma, Galleria Borghese)

Da Caravaggio a Santoro

A tale tecnica ha fatto ricorso in molti casi la televisione. Pensiamo allo sfondo nero che Sergio Zavoli volle per La notte della Repubblica (Rai 1, 1989-1990). O all’utilizzo del chiaroscuro in Annozero, talk show condotto da Michele Santoro (Rai 2, 2006-2011). Lo stesso espediente – financo esasperato, con un’ostentata e manieristica sovraesposizione dell’immagine in primo piano – si ritrova nella scenografia di molte comparsate video di Matteo G. P. Flora. Mi sembra che qui lo scopo sia circondarsi di un’aura drammatica e misteriosa, nella speranza di apparire più interessanti.

Toni Negri intervistato da Sergio Zavoli per La notte della Repubblica.
Toni Negri intervistato da Sergio Zavoli per La notte della Repubblica.
Michele Santoro, Annozero.
Michele Santoro, Annozero.
Matteo Flora
Matteo Flora.

In altri casi, invece, il background della rappresentazione è virtuale. L’attore della comunicazione porta il principio della doppia disincarnazione alle estreme conseguenze, sostituendo lo sfondo inquadrato dalla telecamera con un’immagine o un video di repertorio. Si va dalla classica libreria, che dovrebbe sottolineare lo spessore intellettuale di chi parla, ai paesaggi esotici (vedute di spiagge caraibiche, scorci alpini o cose simili). Ovviamente il gioco funziona tanto meglio, quanto più sono rispettati alcuni requisiti tecnici: sfondo reale – quello da “nascondere” – in tinta unita (meglio se verde), illuminazione e colorazione del soggetto uniformi, qualità superiore della videocamera.

Funzione anti-deittica e valenza ironica

Qualunque cosa rappresentino tali sfondi virtuali sul piano semantico, dal punto di vista pragmatico hanno l’effetto di disincarnare l’immagine del soggetto – come ho già detto – agli occhi del suo pubblico. Al punto da rendere doppiamente insignificanti domande come “dove ti trovi?” o “che tempo fa dalle tue parti?” Si potrebbe affermare che lo sfondo assume, nell’ambito dei discorso, una funzione anti-deittica. Esso infatti ha lo scopo di impedire ogni chiaro riferimento alla situazione dell’immagine nello spazio. Va anche detto che in molti casi vi è un intento ironico, il quale a propria volta va molto al di là del valore semantico.

Sfondo virtuale di Zoom.
Sfondo virtuale di Zoom.

Interessanti due varianti di questo gioco, che ho visto praticare da Marco Porta (Università di Pavia) e Umberto Dellepiane (ACT Operations Research). Il primo utilizza una replica abbellita dello sfondo reale, per esempio l’immagine di ciò che è effettivamente visibile alle sue spalle, ma in acconciato condizioni climatiche eccellenti (quando magari nella realtà il tempo è piovoso). Grazie a Marco Porta ho visto risplendere nel cielo di Pavia, proverbialmente plumbeo, un sole luminoso come non mai.

Il secondo seleziona di volta in volta uno sfondo coerente con le aspettative dell’interlocutore, per esempio inserendo il brand del cliente con il quale sta comunicando in quel momento. Quasi un product placement a fini seduttivi (ma anche qui l’ironia non manca). In questi casi lo sfondo mi sembra così assumere un’ulteriore funzione, che definirei fàtica. Il suo compito è di farsi notare, in modo che gli attori della comunicazione ne possano parlare. Questa sorta di meta-comunicazione può contribuire non poco a mobilitare il canale e preparare la scena, specie all’inizio di una videoconferenza. Attiva un lavoro più sulla relazione che sul contenuto. Il che è senz’altro una buona cosa.

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