Pubblico qui i materiali relativi alla decima lezione del corso su Giornalismo e ipertelevisione. Oggi abbiamo tentato una lettura semiotica della puntata di Annozero del 3 febbraio scorso. Al centro dell’analisi abbiamo posto strategia comunicativa, posizione degli attori sociali, storytelling, setting dello studio, luci, linguaggio parlato e stile di regia. Annozero rappresenta un esempio piuttosto tipico di infotainment, inteso come programma di informazione che usa alcuni elementi grammaticali dell’intrattenimento: suscita emozioni e coinvolge il pubblico attraverso la figura del presentatore-demiurgo.
Peraltro il paradigma dell’infotainment sembra contaminare tutta l’informazione televisiva recente e non solo i talk show di approfondimento giornalistico come Ballarò, Porta a Porta, L’infedele e – appunto – Annozero. Michele Santoro persegue la propria strategia “intimizzante” senza imporre allo spettatore la rinuncia all’approfondimento. Lo stile di ripresa è anzi studiato per consentire un ascolto meditato e senza distrazioni: sequenze lunghe, movimenti macchina ridotti, luce concentrata e altri elementi spingono alla focalizzazione. Si tratta di un linguaggio pensato per un pubblico fedele, disposto ad approfondire perché motivato da una fiducia che deriva dal rapporto con il presentatore. Un presentatore che si presenta appunto come garante e demiurgo, vero intermediario fra il mondo storico e la realtà del video.
Come dicevamo, la logica dell’infotainment sta permeando tutta l’informazione televisiva, telegiornali compresi. Chi ha visto il Tg1 delle 20 di ieri si è imbattuto, intorno al decimo minuto, in un esempio piuttosto evidente di questa strategia. Il servizio dedicato agli eroici operai che in questi giorni stanno cercando di domare la centrale nucleare di Fukushima, in Giappone, può essere considerato un piccolo capolavoro di “ammorbidimento” di una notizia hard, con il chiaro intento di suscitare un moto emotivo nei telespettatori più che la comprensione dei fatti. Al posto della cronaca sono stati proposti gli intimi pensieri dei familiari degli operai, orgogliosi dei loro mariti, padri e fratelli che si stanno sacrificando per scongiurare la catastrofe. E, ad accentuare l’effetto retorico, una scelta piuttosto insolita per un telegionale della sera: l’accompagnamento della notizia con una base musicale struggente e potentissima, com’è il motivo principale del film C’era una volta in America, di Ennio Morricone.
Ho visto il documentario iniziale di Annozero, ieri sera. Quello sul Giappone, tanto per intenderci. A me aveva molto colpito la “colonna sonora”: da una parte ero ammirata, perchè era stata ripescata una canzone di Celentano veramente perfetta. Dall’altra mi ha dato profondamente fastidio. L’ho trovata troppo leggera di fronte alle immagini angoscianti.
Delle immagini vere, putroppo e non di un film catastrofico. Non trovi che l’uso della colonna sonora stia diventando d’obbligo, come se per affrontare la realtà (che noi conosciamo praticamente solo su schermo) abbiamo però bisogno dell’indoramento della pillola, creando una sorta di film, di fiction (finzione)?
Sì, cara Antipatica: è proprio quello che intendevo dire. Però non dobbiamo pensare che l’informazione televisiva ci aiuti a distinguere fra immagini vere (quelle dei telegiornali vecchia maniera) e immagini finte (quelle dell’infotainment di oggi). Tutte le immagini della televisione sono, per definizione, una rappresentazione della realtà. E la rappresentazione della realtà non è la realtà.