Fattore paura

Pubblico qui i materiali relativi all’undicesima lezione del corso su Giornalismo e ipertelevisione, ancora dedicata all’analisi di alcuni esempi significativi di infotainment. Il prologo e la copertina della puntata di Annozero del 17 marzo scorso costituiscono un caso di studio eccellente a proposito del lavoro che l’infotainment fa sul sentimento della paura (si può intrattenere anche spaventando, non solo divertendo). In realtà il sentimento della paura è sano, come ha cercato di spiegare Barbara Spinelli su Repubblica del 16 marzo scorso (Nucleare, il dovere della paura), evocando la tragedia di Eschilo e l’epistemologia di Hans Jonas: “l’emozione sveglia, incita a stare all’erta” e la paura ha un valore euristico, nel senso che “è generatrice di curiosità, prevede il male con apprensione, fa domande, sprona a rettificare quanto pensato e fatto sinora.”

Fotogramma dal film Videodrome, di David Cronenberg

Tuttavia qui interessa altro. Il caso riguarda la strategia spettacolarizzante che si serve della paura per fare informazione. Aprire una trasmissione di approfondimento giornalistico, come ha fatto Michele Santoro l’altra sera, proponendo il video di animazione La trappola radioattiva accompagnato dalla canzone di Adriano Celentano Sognando Chernobyl significa definire un setting preciso. Per cui poi risulta assai difficile sviluppare la discussione in un clima non condizionato dall’ansia. E infatti gli ospiti in studio ci provano inutilmente. Il video e la successiva copertina sovrappongono alla canzone – che parla della catastrofe nucleare – immagini del terremoto e dello tsunami in Giappone, ovvero eventi di origine naturale. Tutto ciò è spregiudicato. Ma parola di Celentano garantisce la bontà del messaggio politico (ci casca anche il “Corriere della Sera” che il giorno prima gli fa firmare un editoriale). Utilizzando con sicurezza gli stilemi del linguaggio pop (musica leggera, fumetti, videoclip, divismo), Annozero vira dall’infotainment al politaniment: “il divo dell’intrattenimento trasforma in spettacolo il proprio punto di vista sul mondo” (Gianpietro Mazzoleni e Anna Sfardini, Politica pop. Da “Porta a Porta” a “L’isola dei famosi”, 2009).

Come in RockPolitik, dunque, o nella parabola grottesca di Howard Beale, “pazzo profeta dell’etere” interpretato da Peter Finch nel film Quinto Potere di Sidney Lumet, la forma del monologo assume il tono della predica:

2 thoughts on “Fattore paura

  1. Sicuramente le parola di Jonas sono corrette. Tuttavia bisogna vedere che uso se ne fa, della “paura”. In senso catartico, sono d’accordo. In senso fine a se stesso:no. Chi scrive, chi fa film e documentari ha un dovere morale nei confronti della sua audience. E deve tenerne conto. Quando leggo: “la strategia spettacolarizzante che si serve della paura per fare informazione” dico: no. La gente deve essere informata e deve informarsi perchè ciò è importante. Se si usano delle tecniche come la musichetta o la paura per fare “audience”, per vendere meglio il mio prodotto perchè lo guarderanno in tanti e quindi ci potranno essere tanti inserti pubblicitari, ecco allora non si sta più facendo informazione, ma spettacolo (e si scade, se l’obiettivo era di fare informazione).

  2. Appunto. Ma la domanda è: la televisione può rinunciare alla strategia spettacolarizzante? Se diamo retta a Jean Baudrillard, la risposta è negativa. La televisione sostituisce la realtà con il suo spettacolo, cioè con una rappresentazione che risulta più vera della realtà e che la annienta. Pensiamo all’attacco dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle. Lo spettacolo del terrore (così lo chiama Baudrillard) ha sostituito l’atto terroristico tradizionale: più che il danno materiale (la distruzione delle Twin Towers), gli attentatori suicidi hanno perseguito l’effetto mediatico (la messa in scena della loro distruzione su CNN).

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