Rodotà e Barabási

Come si fa a dimostrare che la voce più udibile online da un paio giorni – quella che vuole Stefano Rodotà al Colle – coincide con il punto di vista dominante fra gli elettori del Pd? Bisognerebbe domandarlo a loro stessi. Fino a quando non lo si fa, è incauto sostenere che il no a Marini e il sì a Rodotà, risuonati su Facebook e Twitter, corrispondano al sentimento più diffuso nella base. Non si può neppure sostenere che corrispondano alla posizione prevalente in quella parte della base che accede a Internet e usa i social network. Il punto è che, a differenza di quanto Aldo Cazzullo scrive oggi sul “Corriere della Sera”, la Rete non amplifica l’opinione pubblica rispecchiandone gli orientamenti in modo fedele. Non è così per una serie di ragioni ben note. Ossia: 1) alla Rete accede solo una parte dell’opinione pubblica (in Italia grosso modo il 60%); 2) solo un sottoinsieme – sospetto trattarsi di una minoranza – di quel 60% di opinione pubblica che è in Rete ne utilizza i servizi per amplificare la propria voce, organizzando campagne e mobilitando gli altri utenti; 3) l’effetto della legge di potenza, caratteristico delle reti a invarianza di scala come Internet, produce una sperequazione nella udibilità delle voci. Come largamente dimostrato dagli studi di Albert-László Barabási, non tutte le voci in Rete sono ugualmente udibili. Sono più udibili le voci provenienti dai nodi che hanno il maggior numero di connessioni. In sostanza, per l’effetto “power lows”, se Beppe Grillo, Riccardo Luna, Guido Scorza, Luca Tremolada, Carlo Formenti e altri nodi “pesanti” della Rete sostengono la candidatura di Rodotà, questo diventa il punto di vista prevalente di tutta la Rete. O, per meglio dire, sembra esserlo.

Quando si parla di democrazia elettronica, occorre capire che Internet non è un medium necessariamente antigerarchico e intrinsecamente democratico, in grado di offrire in ogni circostanza pari opportunità di accesso e di ascolto a tutti gli utenti. Non lo è, in particolare, quella specifica deriva di Internet che per comodità chiamiamo Web 2.0. In definitiva quello delle conversazioni sui social network rischia di configurarsi come un sistema di diseguaglianze.

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