Ritratto di Guglielmo da Occam nella vetrata di una chiesa inglese

Occam e il metaverso

Il metaverso è solo un nome senza sostanza, oppure designa qualcosa che un giorno esisterà? Il nuovo libro di Matthew Ball

Devo tornare su una questione che rischia di apparire nominalistica, ma forse non lo è: il valore da attribuire all’espressione metaverso. Proviamo a ragionare, per un momento, come Guglielmo da Occam e quei filosofi medievali, i quali escludevano che l’universale potesse appartenere alla realtà. Per Occam solo l’individuale è reale. Viceversa, ciò che è universale – ossia ciò che è predicabile di più cose – è solo un segno verbale, che designa i caratteri comuni a un gruppo di realtà singole. L’universale è fittizio e arbitrario.

Ebbene, tempo fa suggerivo qualcosa di simile a proposito del metaverso (cfr. Il Metaverso come mondo della vita sociale). Sostenevo cioè che esso costituisse un’entità astratta e quindi non esistente di per sé, se non appunto come nome che indica una classe di individui. Tali individui, o realtà singole, sono i mondi virtuali (Fortnite, Minecraft, Second Life, Roblox, Decentraland, Spatial ecc., ma anche piattaforme apparentemente molto diverse, come la versione online del noto simulatore di volo MSFS) Ed esiste una parola – metaverso – che li designa come classe. Proprio per questo, fra l’altro, proponevo di declinare il termine al plurale. La logica nominalistica giustifica dunque l’idea che, in quanto universale, il metaverso non esiste. O, per meglio dire, esiste solo in quanto parola.

Fantasmi plurali

D’altra parte, ci siamo abituati all’uso di numerose espressioni che rischiano di designare concetti privi di sostanza. Pensiamo alla formula volontà popolare (la volontà non dovrebbe essere espressione di un individuo?) o alle teorie elaborate in questi anni intorno all’idea di intelligenza collettiva. Nel suo straordinario racconto Più grande, più lento di qualsiasi impero, Ursula K. Guin fa un’osservazione che trovo alquanto pertinente, a proposito dei comportamenti delle reti neurali: «So che la sensibilità o l’intelligenza non sono un oggetto, che non puoi trovarle, o prenderle e analizzarle, nelle cellule di un cervello. È una funzione delle cellule collegate. In un certo senso, è la connessione stessa. La connettività. Non esiste.» (in Ritrovato e perduto, Milano, Mondadori, 2018, p. 30)

Un solo metaverso

Nella sua recente monografia The Metaverse: And How It Will Revolutionize Everything (Liveright, New York NY, 2022), Matthew Ball propone una chiave di lettura diversa, che merita di essere presa in considerazione. Per Ball è più corretto affermare che il metaverso non esiste ancora, ma un giorno esisterà. Inoltre, quando quel giorno giungerà, probabilmente avremo trovato un altro nome per designare la cosa.

La definizione di metaverso proposta da Ball è la seguente: una rete interoperabile di mondi virtuali tridimensionali, generati in tempo reale, di cui può fare esperienza simultaneamente e in modo persistente un numero illimitato di utenti, vedendo riconosciuti la propria identità, la propria storia e i propri diritti di proprietà su beni di natura virtuale.

Tre sono gli elementi costitutivi di questa definizione:

  • Rete
  • Interoperabilità
  • Mondi virtuali 3D

Il metaverso come rete

Il modello che Ball ha in mente è quello di Internet. Come Internet, la cui topologia è stata concepita alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, è andata costituendosi come un network globale che connette reti di livello inferiore e servizi eterogenei, allo stesso modo il metaverso sarà un network di mondi virtuali. E, come Internet è una, così anche il metaverso sarà uno. Sarà, appunto, un’unica rete che connetterà tutti i mondi globali.

Creare una rete di mondi virtuali vuol dire configurare un’esperienza online. Il che comporta sfide tecniche notevoli, al momento solo in parte indirizzate. Innanzi tutto c’è un problema di larghezza di banda, ossia di quantità di dati trasmessi attraverso la rete in una determinata unità di tempo. Tale problema è evidente già al livello di singolo mondo virtuale. L’esperienza di Fortnite implica un consumo di dati pari a circa 30-50 MB per ora. Nel caso di Roblox tale fabbisogno sale a 100-300 MB per ora, nonostante il livello di fotorealismo relativamente modesto. E la versione online del simulatore MSFS richiede una larghezza di banda 25 volte superiore a quella di Fortnite.

La sfida non appare meno significativa dal punto di vista della latenza, ossia della velocità che i dati impiegano per muoversi attraverso la rete. Oggi l’industria del multiplayer gaming gestisce il problema attraverso una serie di accorgimenti tecnici, come la partizione dell’universo online in differenti regioni o il netcode, utilizzato per assicurare sincronizzazione fra client e server e coerenza durante l’esperienza di gioco. È chiaro che, in generale, l’avvento del metaverso postula un aggiornamento rilevante dell’infrastruttura globale, sia nella parte cablata sia in quella radio (com’è noto, in quest’ultimo caso molte aspettative sono riposte nel GSM di quinta generazione). 

La questione dell’interoperabilità

Un’ulteriore sfida riguarda la capacità di calcolo necessaria per elaborare, in tempo reale, la grande quantità di dati trasmessi attraverso la rete in un mondo virtuale sincronizzato. Ad essa Ball dedica un intero capitolo del suo libro. Ma la questione più spinosa resta quella dell’interoperabilità. Affinché una rete siffatta possa esistere, occorre infatti connettere ciò che oggi è separato. Occorre cioè che si stabilisca un consenso intorno agli standard più adeguati a garantire all’utente l’interoperabilità dei propri asset. Attualmente, per dire, non possiamo spostare un capo di abbigliamento del nostro avatar da Fortnite a Minecraft.

Ball ha fiducia nel fatto che, alla fine, le forze economiche spingeranno verso la standardizzazione e l’interoperabilità, nello stesso modo in cui è accaduto per Internet. Pensiamo al protocollo di base (TCP/IP) e a quelli su cui si appoggiano tutti i principali servizi di Internet (FTP, SMTP, HTTPS ecc.) Nel caso del Web, poi, l’interoperabilità è garantita anche dall’adozione di regole di markup comuni (HTML, JavaScript, CSS). Nel libro si rimanda ad alcuni tentativi di interoperabilità nell’ambito dei mondi virtuali, timidi ma incoraggianti. È il caso di Omniverse di Nvidia, che permette di lavorare con asset 3D e ambienti di formati diversi e generati con motori differenti. In Omniverse, in sostanza, è possibile fare interagire fra loro oggetti disegnati indifferentemente con Unreal, Unity o Blender.

Tuttavia non è detto che, nel caso del metaverso, le cose vadano a finire nello stesso modo in cui è accaduto per Internet. Potrebbe piuttosto andare configurandosi uno scenario di tipo “balcanico”, associato a un regime economico di oligopolio. Qualcosa di simile al mondo mobile, oggi caratterizzato da due grandi sfere di influenza – Android e iOS – non interoperabili.

Mondi virtuali 3D

Non meno interessante è l’ipotesi di Ball secondo la quale oggetto dell’interconnessione saranno i mondi virtuali tridimensionali, a prescindere dalla specifica tecnologia che abiliterà l’esperienza. La sua definizione di mondo virtuale 3D è volutamente lasca e generica. In sostanza Ball non prende posizione in merito alla diatriba “realtà virtuale vs. realtà aumentata” e fa anzi notare che oggi la maggior parte degli utenti dei numerosi mondi virtuali esistenti ne fa esperienza attraverso una tastiera e lo schermo piatto di un computer.

Un mondo virtuale è un ambiente simulato, generato da un computer. Esso può riprodurre il mondo reale o rappresentare una realtà fittizia priva di corrispondenza con il nostro universo (o, per lo meno, con la parte a noi attualmente nota). Ma questo non postula che per accedere al metaverso occorreranno apposite tecnologie, come i sistemi di realtà virtuale, o specifici strumenti hardware, come caschi, visori e guanti. Sarebbe come dire – sostiene Ball – che l’unico modo per accedere a Internet in mobilità è attraverso una mobile app, escludendo quindi i mobile browser.

La precisazione “3D” si riferisce, più semplicemente, all’idea di un passaggio epocale: il 3D come condizione per rendere l’esperienza online più realistica, ricca e coinvolgente. In fondo il metaverso potrebbe anche essere descritto come una internet tridimensionale. L’emergenza Covid-19 ci ha insegnato che virtualizzare aspetti importanti della nostra vita – pensiamo al lavoro o alla scuola – comporta un prezzo troppo alto, fino a quando si resta confinati all’interno di esperienze bidimensionali.

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