Secondo il codice della cultura del software, com’è noto, il remix consiste nello scambio creativo ed efficiente di informazioni reso possibile dalle tecnologie digitali. Per meglio dire, il remix è il prelevamento di campioni da materiali preesistenti e la loro combinazione in forme nuove. Si sa anche che il concetto trae le sue origini da modelli musicali sviluppati a partire dalla fine degli anni Sessanta fra New York e la Jamaica. Edward Lessig è fra gli autori che se ne sono occupati di più, leggendo però il fenomeno in una prospettiva giuridica, partendo cioè dal grande problema del diritto d’autore e dei suoi limiti nella società dell’informazione (di Lessig si veda The Future of Ideas, New York, Vintage, 2001). Ma è forse più interessante considerare il remix per le sue implicazioni estetiche, come suggerisce Eduardo Navas in Remix Theory. In questo senso occorre partire dalla storia del fenomeno proprio per come esso si manifesta nella cultura musicale. Ebbene oggi il regista americano Kirby Ferguson, impegnato nel progetto Everything is a Remix, evidenzia un passaggio forse meno evidente in questa storia. Un passaggio che rimanda non al mondo dello hip hop e del regge, ma a quello del rock psichedelico. Antesignano di questo filone è William S. Burroughs, che nel 1961 pubblicò un romanzo – The Soft Machine – scritto ricorrendo alla tecnica del cut-up. Burroughs, a cui va ascritta la paternità del termine heavy metal, influenzò non poco la cultura rock degli anni Sessanta e Settanta, anche nelle sue derive lisergiche. Per chi, come me, nel 1976 aveva quindici anni è bello scoprire che The song remains the same dei Led Zeppelin ha costituito un passaggio fondamentale nella storia del remix musicale, come Ferguson si incarica di illustrare nella prima puntata del suo documentario. Il lavoro di Ferguson è in fieri. La prima è la seconda puntata sono già disponibili su Vimeo (vedi qui sotto), mentre la terza e la quarta saranno pubblicate a breve.