Giornalismo e ipertelevisione (11)

La visione del reportage di Ettore Guastalla e Carlotta Ricci “Afghanistan operazione Badger” (Rai News) ha offerto questa mattina – nell’ambito dell’undicesima lezione su Giornalismo e ipertelevisione – lo spunto per una serie di riflessioni sulle strategie narrative perseguite da chi fa informazione di guerra in TV.

Afghanistan operazione Badger

Il servizio è stato girato nella zona del Gulistan, dove le truppe italiane operano a supporto di quelle locali nelle attività di ricerca di “insorgenti” talebani. I due giornalisti si sono aggregati ai nostri militari e hanno utilizzato anche materiale video girato con un drone e una helmet camera, fornito dal Ministero della Difesa. La versione integrale del reportage è disponibile qui:

Dal punto di vista della struttura, “Afghanistan operazione Badger” risponde a uno schema a chiasmo, di tipo A-B-A. Il primo blocco narrativo (A) è costituito dal prologo, che risponde alla funzione di definire il contesto della storia: le forze armate afgane impegnate nel difficile percorso che le porterà, con l’aiuto della Nato, a garantire in autonomia la sicurezza del paese entro il 2014. La parte centrale (B) comprende l’esposizione degli eventi, che si sviluppano nell’arco di una giornata: una missione di “cordon and search” per identificare un possibile covo talebano in un villaggio di pastori. Infine la morale della storia (A), che è recitata con il contributo di un testimonial d’eccezione: il mullah ex talebano pentito, il quale ribadisce la bontà del programma Nato per la messa in sicurezza e la ricostruzione del paese. Parlo di struttura a chiasmo perché la testa e la coda del reportage sono accomunate da una serie di elementi formali (voce narrante, colonna sonora, testimonianze di esperti) che invece sono assenti nel modulo centrale.

L’assenza di un commento fuori campo nel blocco narrativo principale è indizio della volontà di proporre la storia dal punto di vista dei militari in azione. Quello che succede è detto dai soldati ed è visto attraverso i loro occhi, secondo una strategia che predilige l’approccio mimetico a quello diegetico. Lo spazio del racconto è occupato dalle voci dei militari e dalle immagini riprese con camera a spalla o addirittura montata sull’elmetto: molti primi piani, molti movimenti macchina volutamente confusi e concitati, molte riprese all’interno dei blindati, ad accentuare il senso di claustrofobia che si deve provare in quelle situazioni. La storia è apparentemente priva di narratore, perché la sequenza delle immagini e di suoni pretende di parlare da sola. L’unica concessione alla dimensione diegetica è rappresentata dai testi sottopancia, che forniscono alcuni riferimenti deittici (ora e luogo), oltre a doppiare le parole dei soldati.

Infine merita un cenno il parlato che accompagna il prologo e la morale della storia. Si predilige un linguaggio tecnico-militare, con funzione eufemistica. Il nemico è detto insorgente, appunto. Lo scontro a fuoco è un tranquillizzante tic (troops in contact), il rastrellamento si chiama cordon and search, mentre il controllo del territorio diventa governance.

Che lezione trarre da questo smontaggio del testo narrativo di “Afghanistan operazione Badger”? In sostanza l’analisi evidenzia il fatto che, dietro l’apparente oggettività del racconto e la pretesa di far parlare i fatti, c’è una precisa strategia di rappresentazione della realtà, connotata da scelte strutturali e stilistiche. A riprova del fatto che la televisione, anche quella non finzionale, non ci mette in contatto con la realtà, ma appunto con una sua rappresentazione. Come ci insegna Jeremy G. Butler, (Television. Critical Methods and Applications, 2011 quarta ed.), le news e i reportage televisivi tradizionali rientrano nella categoria esibitiva: il giornalista seleziona i fatti dal mondo storico e li organizza in una rappresentazione coerente. La televisione sviluppa sempre un discorso, cioè una descrizione parziale e incompleta della realtà. E guardare la televisione significa confrontare il proprio discorso con il discorso della televisione stessa.

È utile confrontare la rappresentazione della guerra del reportage di Rai News con altre rappresentazioni “soggettive”. Come quella amatoriale del soldato americano che riprende l’attacco di un elicottero Apache su un villaggio afgano e ne condivide le immagini su YouTube. Il suo è uno sguardo stupito ed eccitato, che trasforma la guerra in un videogioco:

Oppure lo storytelling sofisticato e controverso realizzato da WikiLeaks con il filmato “Collateral Murder”, in cui sono disvelate le immagini drammatiche dell’eliminazione di 12 civili, fra cui un reporter della Reuters, da parte degli americani in Iraq, nel 2007 (12,4 milioni di visualizzazioni su YouTube). Anche in questo caso le riprese sono in soggettiva: la telecamera integrata al mirino dell’arma che spara. Ma il lavoro di postproduzione di WikiLeaks – prologo, sottotitoli, elementi grafici, montaggio, pulizia – le dota di un senso che in origine non avevano:

E poi ci sono le immagini che il videoreporter Raffaele Ciriello stava girando a Gaza, il 13 marzo 2002, prima di essere colpito a morte da un tank israeliano. Ancora una visione soggettiva, questa volta della vittima: l’obiettivo che inquadra la canna dell’arma, fino all’istante in cui questa spara. Eppure neanche questo estremo atto di realismo televisivo ci restituisce una realtà facile da codificare:

Di seguito pubblico il materiale utilizzato oggi a lezione:

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