Frattini, l’orso e il popolo

Provate a fare una ricerca in Rete, utilizzando la frase esatta “popolo del web”. Qualsiasi motore di ricerca vi restituisce centinaia di migliaia di risultati. Solo per restare ad alcuni titoli degli ultimi giorni: “il popolo del web invade la bacheca di Bersani” (Lettera Viola, 16 giugno), “il popolo del web insorge” (Il Tirreno, 20 giugno), “il governo cinese e il popolo del web” (Bonsai TV, 29 giugno), “la gaffe della Gelmini non sfugge al popolo del web” (forum Precari Scuola, 30 giugno), “il cucciolo di koala intenerisce il popolo del web” (CronacaQui, 28 giugno). E così via.

Qualcuno è in grado di spiegarmi a quale categoria o razza appartenga, codesto popolo del web? Come si distingue dal resto dell’umanità? Perché lo isoliamo, come se avesse aspirazioni, bisogni, idee o – perché no? – abitudini alimentari che lo rendono speciale? Si dirà che si tratta di un’espressione di comodo, utile a indicare coloro che usano la Rete come strumento di socialità, partecipazione e attivismo. A me sembra che tale espressione, apparentemente innocua, veicoli due messaggi pericolosi. Il primo messaggio consiste nell’idea che i cittadini della Rete costituiscano appunto un popolo, ossia una “collettività umana avente un riferimento comune a una propria cultura e una propria tradizione storica, sviluppate su un territorio geograficamente determinato” (cito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Collettivi dei Popoli, sottoscritta a Barcellona nel 1990). Il che, con tutta evidenza, è falso. Non so, per esempio, se sentirmi vicino – per cultura e per tradizione storica – agli “invasori” della bacheca di Bersani glorificati da Lettera Viola. Certamente mi sento lontanissimo da neonazisti, quedisti e simili malinconie che frequentano assiduamente la Rete. Il secondo messaggio non è meno pericoloso: chi non frequenta la Rete è diverso, appartiene a un altro popolo e come tale non può capire le istanze di chi, viceversa, agisce e vive online. Spiace che anche Vittorio Zambardino ogni tanto si lasci andare a questa mistica di Internet e del “noi contro loro”, come gli è capitato di recente affermando che non basta “sapere come si usa la Rete”: occorre “essere” la Rete (Avete scoperto il web? Però portatevi le coperte, laRepubblica.it, 15 giugno 2011). In effetti, se la Rete fosse “una cultura, […] un modo di essere, di vivere, di stare al mondo”, come scrive Zambardino, allora avrebbe senso parlare di un “popolo della Rete”. Tuttavia faccio fatica a cogliere i tratti di questa cultura, se non proiettando le idee di un sottoinsieme di utenti della Rete alquanto autoreferenziali.

Franco Frattini

Ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini è intervenuto nel suo blog per stigmatizzare l’iniziativa dell’onorevole Maurizio Fugatti, della Lega Nord del Trentino, il quale domani protesterà contro il programma di reintroduzione dell’orso nelle montagne italiane consumando pubblicamente carne di plantigrado. Mi associo all’indignazione di Frattini, ma non capisco il suo auspicio: “il popolo del web può e deve ribellarsi all’idea che un bellissimo animale – che proteggiamo – finisca in padella” (Il popolo della Rete si ribelli al cacciatore di orsi, Diario Italiano, 1 luglio 2011). Così anche Frattini si lascia sedurre da un’immagine che – lo ripeto – mi sembra molto ambigua. Forse ci si sente lusingati, immaginando di avere alle proprie spalle un popolo (uno “d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di cor”, come poetava Manzoni) che ci viene dietro compatto. Ma questo popolo non c’è.

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