Want to escape?

Das Unheimliche, ovvero il perturbante, il sinistro, lo spaesante. È il termine, ben noto, con cui Sigmund Freud designa ciò che ci appare familiare ed estraneo al tempo stesso, e dunque foriero di angoscia. Termine che peraltro lo stesso Freud aveva mutuato dallo psicologo Ernst Jentsch (Zur Psychologie Des Unheimlichen, 1906). È altresì noto che, nel 1970, lo studioso giapponese di robotica Masahiro Mori pubblicò sulla rivista “Energy” un saggio destinato a fare scuola, intitolato Bukimi no tani (in italiano: “valle perturbante”). Riadattando ai propri scopi l’Unheimliche freudiano, Mori identificava con questa espressione la repulsione e l’inquietudine suscitati dagli automi antropomorfi troppo “realistici”, ossia dotati di una particolare somiglianza con la figura umana. Secondo questa teoria, sostenuta sperimentalmente, è addirittura possibile tracciare una curva del piacere e della familiarità generati nelle persone dai robot. Fino a una certa soglia la crescita di verosimiglianza antropomorfa degli automi si accompagna a una crescita delle sensazioni positive da parte delle persone. Oltre tale soglia, invece, si sprofonda nella valle del perturbamento (qui la traduzione inglese del saggio di Mori).

Negli ultimi quarant’anni la robotica ha fatto tesoro delle idee di Mori, così come le grandi produzioni di Lucas, Pixar e Dreamworks. Tutti sanno che, per risultare simpatico, un robot non deve apparire troppo simile a un essere umano. Sull’ultimo numero di “Wired” Felix Salomon suggerisce che anche i pubblicitari dovrebbero tenerne conto (The Uncanny Valley of Advertising, 28 aprile 2011). Secondo Salomon è inutile cullarsi nell’illusione che l’audience destinataria di una campagna pubblicitaria accolga più volentieri il contenuto dell’annuncio quando questo è profilato. Soprattutto se la profilazione è ottenuta agendo con cookies o con algoritmi per il riconoscimento delle keywords, come nel search advertising alla maniera di Google AdWords:

We all naturally anthropomorphize computers at the best of times, so it’s impossible not to feel, in these cases, that we’re being spied on, and that our most private activities are really not private at all. But I think the emphasis on privacy, in these debates, is misplaced. It’s not like some individual human being out there knows something about me personally that I’d rather they didn’t. And a computer or an algorithm, of course, can’t really know anything at all. But we feel spied on and invaded, because we don’t think of activities like online shopping or social networking or e-mailing as things we do in public: In fact, we would never want to do them in a very public way.

Salomon ha ragione? E tutte le chiacchiere a proposito del social advertising, allora? In attesa di capire meglio certe cose, consoliamoci con un po’ di marketing non convenzionale, quello che non si preoccupa troppo del targeting ma mira essenzialmente a fare parlare di sé. Come l’operazione messa in piendi dal team creativo di DDB Paris per l’agenzia di viaggi francese Voyages SNCF.

Escape Machines – Surprise from The Cool Hunter on Vimeo.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Animated Social Media Icons by Acurax Responsive Web Designing Company
Visit Us On TwitterVisit Us On FacebookVisit Us On PinterestVisit Us On YoutubeVisit Us On Linkedin