Tra libro e non-libro

L’ebook è, per definizione, un nuovo medium. Oggi però la novità sta principalmente nel supporto, non nel contenuto. Parliamo di un dispositivo hardware e software che consente di leggere gli stessi testi di ieri, convertiti in formato digitale. Molte cose cambiano con l’ebook – la catena del valore, le modalità di distribuzione e conservazione, il contesto di fruizione – ma una resta: la natura intrinseca del testo. Ecco perché Robert Darnton ha buon gioco a ricordare che il libro di carta resta il sistema migliore di conservazione del pensiero e che pertanto sopravviverà all’ebook (The Case for Books. Past, Present, and Future, New York 2009).

ebook

Al Salone Internazionale del Libro di Torino un po’ tutti si affannano a diffondere la vulgata dell’ebook. C’è ansia, evidentemente. Ansia perché fino a ora il mercato italiano dell’ebook non ha raggiunto i risultati che molti vaticinavano. Il decollo appare molto più lento di quello che si manifesta in altri paesi, USA e Regno Unito in testa. E allora bisogna fare education, convincere. Si verifica però un fenomeno paradossale. Nel tentativo di presentare l’ebook come un medium familiare e innocuo, qualcosa di facilmente comprensibile, si enfatizza la continuità della nuova esperienza rispetto alla lettura tradizionale. Come dire: non abbiate paura dell’ebook, non è poi tanto diverso dal vecchio libro di carta.

Oggi, in effetti, è così: l’ebook è un libro in formato digitale. Un libro, ossia un contenitore al cui interno fluisce un testo dalla struttura sequenziale e lineare. Attenzione: quando parlo di “contenitore”, non mi riferisco al dispositivo fisico, il cosiddetto ereader; alludo all’elemento software, ovvero al file in formato ePub (o in altro formato). Digitale o meno, l’esperienza di lettura è condizionata dalla costruzione che il testo porta con sé, a meno che non se ne vogliano smontare gli elementi compositivi definiti dal suo autore, a rischio però di smarrire la chiave di decodifica. Se, per dire, converto in formato digitale Guerra e Pace di Tolstoj, rendo il romanzo fruibile su un supporto diverso da quello cartaceo, ma non posso impedire che esso venga letto nello stesso modo in cui è lo è stato per quasi 150 anni. Perché il testo di Guerra e pace ha una coesione formale e una coerenza semantica determinate dall’ordine delle unità informative di cui è composto. Un ordine concepito da Tolstoj come lineare, appunto.

Ma esistono testi non lineari? Certamente sì. Tutti i prodotti delle arti figurative, per dire, sono non lineari e sinsemici. La capacità di significazione della Primavera di Botticelli, del Mosè di Michelangelo o dell’abside di Santa Maria delle Grazie del Bramante deriva dall’articolazione degli elementi compositivi di tali opere nello spazio (bi- o tridimensionale) e non da un percorso di lettura sequenziale, univoco e predeterminato. Anche la scrittura, però, non è sempre stata solo lineare. La storia dell’ipertesto è antica. Basti pensare all’architettura compositiva della pagina del Talmud, sempre citata in questi casi. Ma anche le note a piè di pagina e altri elementi dell’apparato paratestuale tipici dell’editoria moderna costituiscono eccezioni alla regola della linearità.

Pagina del Talmud
Pagina del Talmud

C’è chi fa notare come l’invenzione della stampa, con l’imposizione del modello lineare, abbia comportato l’oscuramento e il sacrificio della dimensione ipertestuale della scrittura. Di più: tale modello avrebbe condizionato non solo le forme della creatività letteraria, ma del pensiero umano tout court. In questo senso David Kolb (Socrates in the Labyrinth: Hypertext, Argument, Philosophy, Watertown MA 1994) si domanda se possa esistere una filosofia ipertestuale o, detto altrimenti, un ipertesto filosofico. E si chiede quale lavoro tale ipertesto possa svolgere:

Could it do argumentative work, or would any linear argument be a subordinate part of some different hyperwork? But what is thinking if not linear?

Se ammettiamo che il pensiero procede linearmente, osserva in sostanza Kolb, allora il testo lineare ne costituisce l’unica modalità di rappresentazione possibile. Alla fine Kolb riconosce però una funzione all’ipertestualità: quella di descrivere la fluidità (“fluidity”) che accompagna il discorso filosofico. In una prospettiva diversa, ma parallela, si pone un autore come Jaques Derrida (De la grammatologie, Parigi 1967). Il decostruttivismo di Derrida è il tentativo di destabilizzare la marcia trionfale del logos. Una marcia che, nel passaggio dall’oralità alla scrittura fonetica, non si è affatto arrestata. Il parricidio paventato da Platone, osserva Derrida, ovvero l’uccisione del padre-logos da parte della scrittura, non ha avuto seguito.

Oggi diversi autori – fra gli altri George P. Landow e Antonio Caronia – ritengono che l’avvento dei nuovi media offra un’opportunità di riscatto rispetto alla subordinazione di tutti i mezzi di comunicazione esistenti alla scrittura. E ciò potrebbe essere vero sia per quanto riguarda la scrittura argomentativa, come sopra specificato, sia e soprattutto per quella creativa. In questo senso, però, non è tanto interessante la prospettiva ipertestuale, tracciata da un pioniere del romanzo elettronico come Michael Joyce (Afternoon, 1987) e comunque praticata anche prima dell’avvento del digitale (si pensi al romanzo Pale Fire di Vladimir Nabokov, del 1962, o a Rayuela di Julio Cortázar, pubblicato nell’anno successivo). La prospettiva interessante – esaltata dall'”invenzione” dell’iPad – è semmai quella sinsemica, che prevede l’articolazione spaziale degli elementi di scrittura, con l’obiettivo di trasmettere un significato e comunicare (rimando al blog collettivo Sinsemia,  curato da Luciano Perondi, Leonardo Romei e Arnaldo Filippini).

L’ebook può diventare ciò che oggi non è: un medium profondamente diverso dal libro, per ciò che riguarda la sua dimensione testuale e la sua architettura informativa. Lo diventerà se e quanto la figura dell’autore cesserà di coincidere con quella dello scrittore, eventualmente supportato da un editor. L’artefice dell’erede del libro si chiamerà designer. Probabilmente non coinciderà con una personalità individuale, ma con una squadra nella quale si esprimeranno professionalità molteplici. Tutto questo sta già accadendo, anche se in modo confuso. L’editore americano Rodale, per esempio, ha pubblicato da poco il nuovo libro di Al Gore, Our Choice: A Plan to Solve the Climate Crisis. Si tratta di un esperimento interessante, di cui dà un’idea il video qui sotto. Di fatto Our Choice non è un libro: è un applicazione per iPad, dsponibile per meno di cinque dollari nell’online store di Apple e dotata – in nuce – di tutti quegli aspetti che caratterizzeranno il nuovo medium in futuro.

Al Gore’s Our Choice Guided Tour from Push Pop Press on Vimeo.

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