Pensieri digitali

“Il mainstream è vivo”, ha proclamato oggi Frédéric Martel all’Università Bocconi, ribadendo quanto sostiene a partire dalla sua inchiesta sulla cultura “che piace a tutti”, pubblicata in Francia da Flammarion e  tradotta in Italia per Feltrinelli (non un saggio, tiene a precisare l’autore, ma appunto un’inchiesta). “Niente affatto”, gli ha risposto l’inquieto Carlo Antonelli, che proprio in questi giorni transita dalla direzione di Rolling Stone a quella dell’edizione italiana di Wired. “Il mainstream è morto: lo ha ucciso la distribuzione digitale dei contenuti”.

Comunque la pensiate, benvenuti a Culture vs. Market: The Global Competition of Mainstream Products in Content Industries, prima puntata di una serie di conferenze intitolate al Pensiero digitale: leggere e scrivere nel terzo millennio (tutto il programma qui).

Due giornalisti – Martel e Antonelli – moderati da uno studioso del calibro di Maurizio Ferraris. Una volta sarebbe capitato il contrario: anche questo, forse, è un segno dei tempi. Martel è latore di due notizie. La prima – buona – è che in tutto il mondo i media hanno una dimensione prevalentemente locale. I contenuti mainstream non annullano quelli locali, ma si aggiungono a essi. La seconda notizia – meno buona – è che il mainstream è monopolizzato dagli USA. “La cultura americana – sostiene Martel – è la sola cultura globale”. Idea, questa, contestata da Ferraris. Per il filosofo torinese gli USA guidano il mainstream nei media, ma non in altri ambiti, come la religione, lo sport, il cibo e la moda. In ogni caso, a dare retta a Martel il mainstream gode di ottima salute. E se oggi la supremazia degli Stati Uniti appare evidente, quanto meno nell’ambito dei media, per il futuro dobbiamo aspettarci un confronto crescente (o uno scontro?) con i paesi emergenti. Questi emergono anche dal punto di vista dell’influenza culturale, come il successo di Al Jazeera dimostra in modo palese.

Non la pensa così Antonelli, per il quale la stagione del mainstream è tramontata grazie all’avvento delle nuove tecnologie e alla digitalizzazione della distribuzione dei contenuti. Per Antonelli, che sembra rimandare alla lezione di Chris Anderson e alla sua teoria della coda lunga, siamo entrati nell’era magnifica e progressiva delle nicchie. Le quali, dotate di uno statuto strutturalmente anti-imperialista, non possono non suscitare la nostra simpatia. Un mercato ricco di offerte, anche se di dubbio valore culturale, è sempre preferibile a un monopolio di qualità eccellente.

Alla fine su una cosa Martel e Antonelli sembrano convenire: l’idea che a sparigliare le carte sia stato principalmente un salto di paradigma tecnologico, ovvero l’avvento del digitale. Per Martel siamo nel mezzo di un processo rivoluzionario, il cui esito appare incerto. Tre scenari sono possibili: adattamento dell’esistente (anche se un nuovo modello di business dovrà comunque essere identificato, per continuare a guadagnare con i contenuti), trasformazione (non solo digitalizzazione dei vecchi contenuti, ma nascita di nuovi usi e consumi) oppure distruzione (la morte dei vecchi media, dal libro alla televisione) .

2 thoughts on “Pensieri digitali

  1. Magia del genius loci. Oggi sono a Torino per il Salone Internazionale del Libro e scopro che è prevista una conversazione con Martel sullo stesso tema affrontato ieri in Bocconi. Solo che, nel passaggio dalla Milano da bere alla Torino operaia, il mainstream cessa di essere “opportunità” e diventa “schiavitù”.

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