Virtuale plausibile

Nel dibattito sul nuovo realismo filosofico, scaturito da un articolo di Maurizio Ferraris su Repubblica dello scorso 8 agosto, la questione del virtuale è stata frettolosamente accantonata. Ora, quel dibattito sembra essersi consumato nel breve spazio di una stagione, ma la questione del virtuale resta. Del virtuale, intendo, non come alternativa al reale, ma come sua declinazione. Come dimensione del reale sperimentabile ed esplorabile. O addirittura come stratificazione che rende più ricca la lettura del reale.Mi capita oggi di riascoltare il breve intervento che Philip K. Dick svolse al Festival di Fantascienza di Metz nel 1977. Quasi trentacinque anni fa, lo scrittore americano parlava di metaversi (“pluriform pseudo-worlds”) come di una “molteplicità di realtà parzialmente attualizzate, le quali si intersecano con quella che evidentemente è la più attualizzata, quella su cui la maggioranza di noi, per consenso universale, concorda”. Due anni prima della Condition postmoderne di Jean François Lyotard e dieci prima di Simulacre et simulation di Jean Baudrillard, Dick ci proponeva una chiave di lettura dei mondi alternativi molto più stimolante di quella dei filosofi francesi. Il virtuale è per Dick un’alterazione del mondo ufficiale. E la letteratura è un indizio significativo di questa alterazione. Ecco il video del suo intervento, tutto da ascoltare:

 

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