I fatti non curano la disinformazione, ma la rafforzano. È questa la conclusione cui sono giunti alcuni ricercatori della Università del Michigan, coordinati da Brendan Nyhan. Nelle scorse settimane i risultati dello studio sono stati resi disponibili online dallo stesso Nyhan (vedi When Corrections Fail: The persistence of political misperceptions) e hanno suscitato un certo dibattito negli Stati Uniti, a proposito dell’ignoranza dell’opinione pubblica americana e degli scarsi effetti dei media sui suoi orientamenti. Ieri Nyhan è stato intervistato da Ron Clairbone per la rete televisiva ABC (il video è pure disponibile online: Why Facts Don’t Matter). Ma il suo studio era già stato segnalato dal Boston Globe e dal New York Times.
Nyhan ha preso in considerazione diversi campioni di individui, in particolare attivististi politici, i quali solo in rari casi hanno modificato i propri erronei convincimenti dopo essere stati esposti a informazioni corrette. Gli americani, ad esempio, continuano a credere che in Iraq esistessero armi di distruzione di massa (fu questa la giustificazione fornita dall’amministrazione Bush alla seconda guerra del Golfo), anche se è stato dimostrato il contrario.
Ciò pare dipendere dal fatto che le persone basano le proprie opinioni sulle proprie credenze, le quali hanno una relazione ambigua con i fatti: invece di essere i fatti a orientare le nostre credenze, sembra che siano le nostre credenze a determinare quali fatti siamo disposti ad accettare.
Esistono peraltro anche altri studi più o meno recenti (Princeton e Univesità dell’Illinois, fra gli altri) che portano alla medesima conclusione. Per approfondimenti, segnalo il blog di Nyhan.