Orfeo ed Euridice

Orfeo, fra Grossman e Pavese

Mentre ci accingiamo a lanciare l’operazione #Leucò (vedi qui), trovo emblematico che un romanziere par excellence come David Grossman si sia incaricato, proprio nell’anno appena concluso, di abbandonare il genere del romanzo e abbia deciso di redigere un testo in forma di tragedia. Mi riferisco a Caduto fuori dal tempo (Mondadori 2012), esperienza letteraria di un’intensità per molti versi estrema e irraggiungibile. Più che una storia, è un cammino fatto di voci, di dialoghi che si intrecciano: il cammino un’umanità dolente che cerca di raggiungere la soglia fra il mondo dei vivi e quello dei morti, compiendo un percorso circolare (impossibile non pensare ai cerchi dell’inferno dantesco). Con un narratore che assolve alla funzione del coro o, per meglio dire, del corifero della tragedia greca. Il percorso è tragico, perché tragica risulta la pretesa di descrivere la meta – quel “laggiù” – con le parole dei vivi, con il linguaggio di “quaggiù”. Il viaggio di Grossman è dunque pervaso di tristezza e nostalgia, perché la soglia in cui ritrovare il figlio perduto esiste solo in forza del desiderio. D’altra parte è anche un viaggio potente e animato da intima passione: la passione piena di vita di chi ha toccato la morte.

Grossman è dunque Orfeo, che scende negli inferi per ritrovare l’amata Euridice. Come Orfeo, anche Grossman usa l’arte per approssimare il mondo dei morti. Per il figlio di Calliope è la musica. Per lo scrittore israeliano è la scrittura: “Tutta la mia vita | ora, | tutta la mia vita | in punta di penna”. Ma allora ci sovviene di un altro Orfeo, quello che nei Dialoghi di Pavese racconta a Bacca la propria discesa agli inferi e sperimenta la possibilità di ritrovare la vita perduta solo nella memoria e nel canto.  Anche Pavese, con la sua scelta antirealistica, sembra “caduto fuori dal tempo”. Scavare, con la parola e la musica, nel pozzo del proprio dolore: ecco quello che ci insegna la tragedia greca. Ecco l’attualità di una lezione che due scrittori così lontani, come Pavese e Grossman, sembrano avere colto con grande lucidità.

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