A meno di due settimane dal discorso del Segretario di Stato Hillary Clinton sulla libertà di connessione (Freedom to connect: è solo una coperta retorica?), torniamo a occuparci di ciò che si dice a Washington. Il 4 febbraio scorso, infatti, un’importante discussione si è svolta durante una delle riunioni periodiche dell’Online Safety and Technology Working Group, presso il Ministero del Commercio USA. L’OSTWG fu creato nel 2008, quando il Congresso varò il Protecting Children in the 21st Century Act. Ne fanno parte rappresentanti delle imprese, del mondo non-profit e dell’amministrazione pubblica. Declan McCullagh, giornalista di CBS News e curatore del blog Taking Liberties, ha potuto seguire parte della riunione. Ne ha riferito ieri sul sito di Cnet News (FBI wants records kept of Web sites visited), evidenziando in particolare la proposta del direttore dell’FBI, Robert Mueller, di imporre ai service provider americani la registrazione dei log relativi ai siti visitati dai propri utenti. Mueller non è nuovo a tali uscite, avendo indirizzato una richiesta analoga al Congresso due anni fa. Ma che cosa dovrebbero registrare i service provider? I numeri IP dei siti visitati dagli utenti? Oppure i nomi di dominio (es. www.corriere.it) o gli host (es. mediablog.corriere.it)? O ancora le URL visitate (es. http://mediablog.corriere.it/2010/02/il_mondo_online_prima_che_in_e.html)? In quest’ultimo caso la registrazione del log presuppone la cosiddetta deep packet inspection da parte dei service provider, ovvero la stessa pratica cui ricorre il tanto deprecato regime cinese. McCullagh spiega che i service provider sono contrari a una simile ipotesi più per la complessità di gestione che per amore di libertà, mentre il Ministero della Giustizia avrebbe dichiarato di non avere posizioni ufficiali sulla materia. Chissà che cosa ne pensa la Clinton.
La libertà fra Hillary e l’FBI
