kony-2012

Kony 2012

Il video Kony 2012, diretto da Jason Russell e prodotto a sostegno della campagna di Invisible Children contro le attività del Lord’s Resistance Army (LRA), è senza dubbio l’evento di YouTube delle ultime settimane. Lo è per la popolarità che ha raggiunto fra gli utenti del portale (oltre 87,3 milioni di visualizzazioni nel giro di un mese, cui si aggiungono i 17,9 milioni di “plays” su Vimeo), ma anche per una serie di polemiche che lo hanno accompagnato. Gli attivisti di Invisible Children vogliono fermare Joseph Kony, che è stato riconosciuto come criminale di guerra dalla Corte Internazionale dell’Aia e che è accusato di avere creato un esercito di 60 mila bambini-soldato attivi fra Repubblica Centrafricana e Uganda.

Diversi osservatori ritengono che il messaggio trasmesso da Kony 2012 operi un’ipersemplificazione dei fatti, se non una vera e propria manipolazione delle coscienze. Si tratterebbe dunque di un caso da manuale di slacktivism: attraverso un messaggio elementare si ottiene l’adesione a una causa in apparenza nobile, senza che all’audience raggiunta sia richiesto il minimo sforzo di comprensione del contesto e di mobilitazione pratica. Un impegno a costo zero, insomma.

Critiche autorevoli sono provenute in tal senso da Mareike Shomerus, Tim Allen e Koen Vlassenroot. Già prima della pubblicazione del video, i tre ricercatori della London School of Economics mettevano in guardia contro il rischio di sovrastimare la minaccia rappresentata dall’LRA e di fornire in tal modo un incauto appoggio all’attuale governo ugandese, il quale certo opera per neutralizzare Joseph Kony, ma si sta macchiando a propria volta di crimini gravissimi e non merita dunque la simpatia dell’opinione pubblica mondiale (Obama Takes on the LRA, “Foreign Affairs”, 15 novembre 2011). Shomerus, Allen e Vlassenroot osservano dunque che l’amministrazione USA avrebbe fatto meglio a resistere alle pressioni lobbistiche esercitate da Invisible Children. Da notare che, più o meno nello stesso periodo in cui Barak Obama annunciava l’invio di truppe per una missione “kill-or-capture” finalizzata a eliminare Kony, nelle sale cinematografiche americane usciva Machine Gun Preacher, film dal vago sapore propagandistico e di qualità scadente diretto da Marc Forster, in cui si narra il tentativo di salvare un gruppo di orfani sudanesi dalle atrocità dell’LRA. La pellicola, che ha avuto ben scarso successo, si ispira alla storia vera di Sam Childers, il bizzarro fondatore di Angels of East Africa. Nel video che riportiamo qui sotto Childers prende posizione a favore di Kony 2012 e di Invisible Children:

C’è anche chi, protetto dall’anonimato, ha creato un blog su Tumblr in cui si intendono evidenziare le contraddizioni e le ambiguità di Invisibile Children. L’organizzazione, vi si dice in sostanza, è opaca nella gestione dei fondi raccolti e poco chiara nella comunicazione dei propri obiettivi. E, soprattutto, usa in modo inappropriato le tattiche dei social media per tentare di risolvere problemi complessi:

These problems are highly complex, not one-dimensional and, frankly, aren’t of the nature that can be solved by postering, film-making and changing your Facebook profile picture, as hard as that is to swallow. (We got Trouble, in “Visible Children. Kony 2012, viewed critically”)

Il cuore del problema, a me sembra, non si può ridurre all’eventuale eccesso di semplificazione. C’è un punto che vorrei mettere in luce, relativo alle modalità narrative del film Kony 2012. Il video incorpora uno degli aspetti salienti del linguaggio prevalente su YouTube: la visione soggettiva. E credo che da ciò dipenda buona parte del suo successo di pubblico. Si tratta, in sostanza, di un reportage sulle vicende centrafricane narrate con gli occhi di un videoamatore (poco importa se, in realtà, il lavoro è stato svolto da un team di professionisti). Nessuna pretesa di oggettività, come sarebbe giusto aspettarsi da un servizio giornalistico. Qui l’indignazione è il prodotto dell’identificazione, ovvero scaturisce dall’immedesimazione del pubblico con il protagonista della storia: una persona comune, con una famiglia “normale” (diversi minuti sono dedicati alla nascita e alla prima infanzia del figlio), ma con il destino segnato dal fatto di essere testimone di qualcosa di enorme, che lo cambia per sempre.

In sostanza, mentre l’approccio giornalistico tradizionale ricerca l’oggettività, perseguita fino a simulare l’assenza di un narratore, lo storytelling di Kony 2012, che coincide poi con la strategia narrativa di tanto citizen journalism presente su YouTube, esalta il coinvolgimento e la soggettività. È questo un passaggio cruciale: per dirla con Roland Barthes, il giornalismo rettamente inteso ci ha abituato – come la storiografia e la filologia – alle “imposture dell’oggettività”, che sarebbero comunque da preferire agli “inganni della soggettività” (Roland Barthes, La preparazione del romanzo. Corsi I e II e seminari al Collège de France, 1978-1979 e 1979-1980). Ma il linguaggio di YouTube ci insegna che, talvolta, per smascherare l’oggettività è utile avere una soggettività assertiva, forte. Perché una soggettività troppo timida ed educata rischia di lasciare campo libero a quelle imposture.

Kony 2012 rappresenta un esempio eccellente di narrazione coinvolta, che sfrutta nel modo migliore la capacità di YouTube di generare un cortocircuito fra il sé psichico e il mondo. Con questo linguaggio, che non caratterizza solo i video di propaganda ma anche buona parte del nuovo giornalismo grassroots, dovremo fare i conti sempre più spesso.

P.S. Da notare che Kony 2012, dopo avere totalizzato due milioni di visualizzazioni sul portale di videosharing Tudou, è successivamente diventato irraggiungibile per gli utenti cinesi non provvisti di accesso via proxy.

Aggiornamento 11 aprile 2012, ore 17.20: Anche “Foreign Policy” solleva dubbi sulla neutralità di Invisible Children, avvalorando il contenuto di un cablogramma diffuso da WikiLeaks: si veda WikiLeaked cable: Invisible Children helped Ugandan security forces arrest government opponent.

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