Feltri, Indymedia e il giornalismo debole

Le attività ricreative ad alto contenuto erotico in cui la deputata Alessandra Mussolini (non) si sarebbe impegnata con il leader di Forza Nuova Roberto Fiore ci interessano poco. Meritano invece un approfondimento i meccanismi mediatici che hanno governato la diffusione della notizia relativa al presunto video hard, la settimana scorsa. Sul piano tecnico si tratta di una notizia che è stata pubblicata da un mezzo e ripresa da molti altri, senza essere stata verificata. Non è la prima volta che succede e non sarà l’ultima.
Il video, che forse non esiste, sarebbe stato girato nel 2005. Nel settembre del 2009 un certo Andrea Cacciotti, che non è l’autore del filmino ma sostiene di averlo visto, contattò la presidenza del Consiglio in un maldestro tentativo di estorsione. Palazzo Chigi sporse denuncia e la Procura di Roma aprì un’inchiesta. Ora Cacciotti è formalmente indagato. Tutto ciò è stato reso noto da giornali, televisioni e siti web fra il 27 e il 30 novembre 2009. Senza che, peraltro, in alcuna redazione il presunto video si sia mai materializzato. Ma come e quando la notizia è diventata pubblica?
All’origine dello scoop c’è un post privo di firma, inserito il 20 novembre 2009 su Indymedia Roma (Indymedia Roma è un nodo del network globale di Indymedia, nota comunità di controinformazione basata sulla logica dell’open publishing anonimo). Il post è stato nascosto dopo la pubblicazione, ma è tuttora visibile nella pagina dei messaggi hidden. Il testo, di una decina di righe, è aperto da un titolo (“Video con Fiore e la Mussolini”) e da un sommario (“dopo Marrazzo un video hard con Fiore e la Mussolini”). Ecco il contenuto della notizia:

La notizia, assolutamente certa, ma ancora riservata, è questa: esiste un video dove sono ripresi Roberto Fiore ed Alessandra Mussolini a fare sesso esplicito nella sede romana di Forza Nuova. Un ex dirigente nazionale di FN ed ex stretto collaboratore di Fiore (già responsabile della sua sicurezza), ha già contattato diversi giornalisti per vendere il video. La proposta è arrivata alla redazione de Il Giornale (che ha potuto visionare il filmato), ad alcuni giornalisti RAI e agli ambienti ex AN di Milano e Roma.
Si tratta di immagini registrate dal circuito interno di videocamere della sede romana di Forza Nuova. Il filmato è ancora in circolazione e in vendita. Per quanto si tratti di una questione personale e privata, la notizia, oltre che ghiotta per la stampa, dopo il caso Marrazzo, potrebbe colpire il PDL, soprattutto in Lazio e Campania dove la Mussolini vorrebbe ricandidarsi. In Forza Nuova lo scandalo sarebbe già scoppiato.

Dunque la notizia viene data come “certa”. Inoltre si sostiene che “un ex stretto collaboratore di Fiore, già responsabile della sua sicurezza” avrebbe contattato diversi giornalisti nel tentativo di piazzare il video hard e che, in particolare, la redazione del Giornale avrebbe avuto modo di visionare le immagini. Il post è delle 9:59. Alle 12:22 un commento anonimo suggerisce di cancellarlo: “è spam senza fonti e di spam Indymedia non ne [sic] ha bisogno”. Tuttavia la notizia resta online ancora una settimana, collezionando altri quattro commenti del tutto insignificanti. Il 27 novembre il Giornale, per firma di Gianni Pennacchi, conferma di avere ricevuto una proposta telefonica, precisa di averla rifiutata ma nega di avere visionato il filmato. L’articolo, però, non si limita a una sbrigativa smentita. Semmai, smentendo, amplifica la notizia. Scrive Pennacchi: “questa storia non ci interessava né punto né poco”. E allora perché non tacere? Perché pubblicare? Perché contribuire, con un pezzo di tremila battute, a quella che lo stesso Pennacchi definisce una “malapolitica fatta di ricatti, misteri, vergogna e violenza all’anima delle persone”, ultimo atto di una serie di “faide a colpi di rivelazioni intime”? Viene il sospetto che, con la scusa della smentita a Indymedia, il Giornale ne approfitti in realtà per intingere la penna nella maldicenza. Qualche giorno dopo è il direttore Vittorio Feltri a dare ragione della scelta del Giornale, spiegando che il pezzo di Pennacchi andava pubblicato in quanto la notizia era ormai su Internet da un settimana e quindi di dominio pubblico.
Nel frattempo su Indymedia Emilia Romagna appare un messaggio che merita qualche riflessione. L’errore del Giornale – si legge – è stato considerare il post del 20 novembre “una possibile fonte”, come se Indymedia fosse un’agenzia di informazione. In sostanza ci viene ricordato che, appunto, Indymedia non è un’agenzia:

È molto facile sfruttare l’open pubblishing [sic] per pubblicare sciocchezze a cui dare parvenza di verità. Tanto più che per proteggere la privacy non conserviamo i log di chi accede al sito.
Chi vive questo media [sic] sa bene come funziona e non si lascia ingannare da un post senza firma, senza fonte e senza alcun riscontro, che chiunque può avere pubblicato con i più disparati intenti: satira, disinformazione, ecc.
O forse più semplicemente qualcuno era in cerca di uno scoop da costruire? Nell’attesa di saperlo continuiamo a lavorare sfruttando virtù e aspetti positivi dell’open pubblishing [sic].

Morale: Indymedia è un mezzo di informazione assai particolare, visto che i post senza firma, fonte e riscontro non hanno alcuna attendibilità. Le “virtù dell’open publishing” sono altre, viene detto. Quali? E in che cosa consiste quell’“approccio diverso all’informazione” a cui allude Indymedia Roma nella sua pagina di presentazione? Alla fine la sensazione è di trovarsi stretti in una morsa: da un lato un giornalismo professionista sempre più amorale, cinico e opportunista; dall’altro un nuovo medium che non riesce a farsi veicolo di civic journalism e che si fa usare dal primo Vittorio Feltri di passaggio.

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