Voglio dire: comprereste un’auto usata da chi si relaziona con voi attraverso un alterego che – programmaticamente, anche se non dichiaratamente – fa da schermo alla sua identità reale, celandola o modificandola almeno in alcuni tratti? La comprereste, quest’auto, da un uomo che vuol farvi credere di essere robusto, calvo e dotato di una barba canuta da lupo di mare bretone, quando forse la sua apparenza reale (scusate, non è un gioco di parole) è assai diversa? Quando potrebbe barare anche sul proprio sesso? E se quest’uomo fosse una donna? La soluzione è in fondo al post.
Beh, direte, i metaversi servono appunto a precipitare nell’ebbrezza che nasce dallo spiazzamento identitario proprio e altrui. Che seconda vita sarebbe, se fosse accompagnata da una noiosissima sicurezza ontologica? Moltiplicare le proprie identità significa esplorare futuri inediti e selezionare possibilità plurime. Pierre Lévy ci ha insegnato che il virtuale (dal latino virtualis che viene da virtus = ‘forza’, ‘potenza’) è un nodo problematico, che ha dentro di sé tutte la potenzialità da cui può scaturire l’essere in una sua entità specifica.
Eppure il problema esiste, nel momento in cui gli abitanti dei metaversi si impegnano in pratiche di interazione sociale, ovvero scambi (non solo economici). Prerequisito di queste interazioni sembra essere la fiducia, quella dose minima e sufficiente di fiducia che induce i soggetti a partecipare allo scambio. Naturalmente l’argomento può essere rovesciato, parafrasando Claude Levi-Strauss: la fiducia non è il prerequisito, ma il fine dello scambio, nel senso che quanto più ci si scambia cose e simboli, tanto più ci si fida l’uno dell’altro. Lo scambio ha quindi la funzione di rafforzare i legami all’interno dei gruppi sociali, aumentando la fiducia reciproca.
Fidarsi dell’altro. Ma chi è l’altro? Nella realtà virtuale siamo spesso impegnati un uno sforzo di mentalizzazione dell’altro. Cerchiamo cioè di fornire una lettura psicologica dell’altro a partire dai suoi comportamenti intenzionali. In una chat di tipo tradizionale l’unico comportamento che possiamo valutare è l’insieme di atti linguistici con cui l’altro partecipa allo sforzo conversazionale. Ma in un metaverso come Second Life i comportamenti intenzionali includono anche l’insieme dei tratti visuali che l’altro ha associato al proprio avatar. Mentalizzare significa dunque stabilire chi sta dietro le parole scritte e pronunciate, ma anche chi sta dietro una maschera tridimensionale. Significa attribuire all’altro delle intenzioni, in un complicato gioco di rifrazioni. La fiducia è il grado di probabilità attribuito da un attore A al fatto che un attore B (individuo od organizzazione) agisca nel modo atteso, in un contesto in cui tale evento condiziona l’agire di A medesimo, cioè la sua decisione di cooperare con B. Insomma, la cooperazione sociale dipende dalle motivazioni degli attori, ma anche dalle idee che ciascun partecipante al contesto sociale si fa degli altri. In determinate situazioni, la cooperazione può prodursi anche in assenza di fiducia. In altre ciò è impossibile. In altre ancora, come ho detto, la fiducia è piuttosto il risultato della cooperazione.
Fin qui la questione in termini sociologici. Naturalmente il problema ha anche una sua declinazione giuridica. Ha fatto scalpore il caso di Ginko Financials, la banca virtuale operata su Second Life da un certo Nicholas Portocarrero (la cui vera identità non è chiara), volatilizzatasi insieme ai depositi di centinaia di utenti che erano stati attratti dai tassi di interesse promessi, superiori al 40%. Si vedano fra l’altro, sul numero di febbraio 2008 di “Technology Review”, The Fleecing of the Avatars e, sul “Los Angeles Times” del 22 febbraio 2008, Virtual bank’s Second Life scheme raises real concerns. Pare che il signor Portocarrero abbia fatto sparire qualcosa come 20 milioni di Linden dollars (circa 75 mila dollari reali). Un’inezia, se consideriamo le dimensioni di certi fenomeni nella “prima vita”: c’è bisogno di ricordare i casi Enron, Parmalat e Société Générale? Linden Lab è corsa ai ripari vietando, dal 23 gennaio scorso, i servizi di credito al consumo su Second Life. Si pone insomma una questione regolatoria, resa più spinosa dal fatto che non è chiaro quale giurisdizione applicare, dal momento che gli utenti dei servizi di Second Life vivono in paesi diversi.
P.S. L’uomo che – state tranquilli – non ha alcuna intenzione di vendervi un’auto usata è è Saul Leven. Quest’uomo sono io, nella mia seconda vita nel metaverso di Linden Lab. Per oggi vi è andata bene. Ma non abbassate la guardia: Second Life somiglia sempre di più alla realtà.
Paolo Costa