C’è vita su Second Life

MART su Second Life

Parafrasando quel tale, verrebbe da dire: “uno spettro si aggira per Internet, è lo spettro di Second Life”. Spettro, nel senso che il fenomeno suscita reazioni contrastanti e ambigue, soprattutto per la scarsa comprensione che molti commentatori dimostrano rispetto al nuovo medium: c’è chi lo esalta, magari con una retorica fin troppo facile, e chi ne decreta la morte. E, a quanto pare, in questo periodo prevalgono i disfattisti. Su Stampa.it di lunedì scorso, per esempio, Bruno Ruffilli ha pubblicato un giudizio tanto liquidatorio, quanto frettoloso e superficiale (Il deserto degli avatar). Per Ruffilli – sembra di capire – SL è liquidabile per due semplici ragioni:

  1. 1. non fa notizia;
  2. 2. non mobilità milioni di persone in tutto il mondo, ma solo 500 mila active users.

Queste due circostanze – osserva Ruffilli – lo rendono inutile, soprattutto dal punto di vista del business.

C’è un vizio di fondo, in questa valutazione, ovvero l’idea che SL debba soddisfare i criteri di efficacia quantitativa tipici dei broadcast media: quanti più individui in target raggiungo, tanto maggiore è il successo della mia comunicazione. È la logica della mitraglia: sparare nel mucchio e contare i colpi andati a segno. Ma SL non è un universo di individui-bersagli che sono lì solo per ricevere il messaggio, per essere colpiti. Come ogni medium partecipativo, è allo stesso tempo un mezzo di comunicazione di massa e un mezzo di comunicazione interpersonale, cioè coniuga la funzione di trasferimento dei contenuti (broadcasting) con quella di condivisione delle esperienze (narrowcasting). Per comprendere SL, quindi, ha senso valutare le tipologie d’uso e misurare la qualità dell’esperienza degli utenti (ciò che le persone fanno con il medium), più che contare il numero dei contatti (ciò che il medium fa alle persone). Da questo punto di vista, è indubbio che SL abiliti la condivisione di esperienze con un livello di coinvolgimento e una ricchezza impossibili su altri servizi di Internet. La virtual togetherness di SL (lo “stare insieme virtuale”) integra la dimensione del chatter, fatta di conversazioni basate su emozioni ed esperienze personali, con la capacità di rappresentazione di un ambiente 3D immersivo. Abbiamo quindi a che fare con un uno spazio potentissimo di sperimentazione espressiva e artistica, dove però ci si muove secondo uno stile di interazione di sociability unbound (“socievolezza senza confini”).

In questo spazio può inserirsi una comunicazione d’impresa completamente nuova. Naturalmente si tratta di uno spazio-laboratorio, che non porta i grandi numeri né li porterà ancora per molto tempo (in attesa di capire, fra l’altro, se la piattaforma del futuro sarà quella di SL o qualche altro metaverso più aperto). Se volete le folle oceaniche, lasciate perdere SL. Attiratele con il gossip e le donnine seminude. Se bramate milioni di page views, puntate sul web e inventatevi qualche abracadabra alla Beppe Grillo. Viceversa, se volete i trend setter, le micro-comunità di consumatori creativi, curiosi e anti-conformisti, andate su SL. Se volete instaurare una relazione intensa fra il vostro brand e un target selezionato, fate che questi si incontrino su SL. Soprattutto, non pensate a SL fuori dal contesto d’uso degli altri media. I comportamenti degli utenti sono caratterizzati in misura crescente da competenze multipiattaforma, per cui integrano più media nel proprio time budget. SL ha deluso le aziende che lo hanno voluto vedere come canale di comunicazione a sé stante, non quelle che lo hanno considerato il master per operazioni crossmediali.

Se poi dal marketing ci si sposta su altri territori della comunicazione, SL diventa ancora più interessante. Quello della realtà virtuale è un crocevia fertilissimo, dove si incontrano nuove modalità di espressione artistica, esperimenti di formazione interattiva a distanza, attività di design e progettazione collaborativi, strumenti di telemedicina.

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