“Il giornalismo online è morto”

Provocazione di Beppe Severgnini.

Occasione gustosa, quella offerta l’altro ieri dall’Università di Pavia, che ha ospitato il dream team di Corriere.it (Giovanni Angeli, Marco Pratellesi e Beppe Severgnini) per una lezione sulla pratica e sul futuro del giornalismo nell’epoca del Web. E a suggerire il titolo della serata è stato lo stesso Severgnini, allorché ha proclamato la morte del cosiddetto web journalism. Dobbiamo abituarci all’idea che non esiste più, semmai è esistito, un giornalismo online distinto dal giornalismo tradizionale. Esiste un nuovo ecosistema della notizia, sempre più condizionato dalle possibilità offerte dai media digitali di gestire le funzioni tipiche del giornalismo: negoziazione con le fonti e l’opinione pubblica, gate keeping e filtro, contestualizzazione, commento.

Naturalmente non va tutto così liscio, in questo nuovo ecosistema. Spesso i giornalisti si trovano in difesa, nel tentativo di giustificare le prerogative della professione (“il nostro compito è unire i puntini, come si fa sulla Settimana Enigmistica, per consentire al lettore la visione d’insieme”, ha detto Severgnini). A volte il rapporto con il pubblico, sempre più attivo online, diventa conflittuale: “certi post dei lettori sul nostro sito mi sembrano viscerali e ingenerosi”, ammette Pratellesi). E qualcuno alla fine si domanda quale sarebbe il valore aggiunto, se il mestiere di giornalista si riducesse alla funzione di aggregatore di fonti e canale di diffusione delle informazioni (“rischiate di diventare solo un tubo”, ha detto qualcuno dal pubblico).

Credo che siano tre le questioni fondamentali poste dal nuovo contesto. Sono questioni rispettivamente di ordine socio-politico, organizzativo ed economico.

La prima riguarda un apparente paradosso: la quantità di informazioni a cui i media e l’opinione pubblica hanno accesso è inversamente proporzionale alla capacità di decodificare i fatti e generare notizie. Cosicché si assiste, da diversi anni ormai, a una degradazione sia della qualità professionale del giornalismo sia della cultura critica dell’audience. A tale degradazione sembra alludere anche il recente rapporto Freedom of the Press 2009 di Freedom House, al di là di una maggiore libertà registrata nell’ambito dei new media rispetto a quelli tradizionali:

Every country examined—with the exception of the United Kingdom—performed better on internet freedom than on media freedom in general […]. These differences were smaller among the best and the worst performers, and were most pronounced in the middle range of countries […]. New media outlets are often freer than traditional media and have the potential to open repressive media environments such as China and Iran. However, as new media gains influence, governments are beginning to crack down on internet users by employing traditional means of repression.

La seconda questione, di ordine organizzativo, si traduce in una domanda che mi piacerebbe rivolgere agli stessi Angeli, Pratellesi e Severgnini: se non esiste il giornalismo online, ma solo il giornalismo, perché esistono ancora due redazioni separate, una per Il Corriere della Sera e l’altra per Corriere.it? Ho la sensazione che la “integrated newsroom” in via Solferino sia ancora di là da venire.

Infine resta la questione economica. È di oggi l’annuncio di Rupert Murdoch che le sue testate online saranno a pagamento entro un anno, ma non verranno rese disponibili attraverso l’e-book di Amazon, Kindle. La posta in gioco è alta. Secondo James Moroney, amministratore delegato del Dallas Morning News, Amazon sta chiedendo il 70% dei ricavi relativi agli abbonamenti dei giornali su Kindle, oltre al diritto di ripubblicarne i contenuti su altri dispositivi mobili. E mentre Murdoch affila le armi, New York Times, Boston Globe e Washington Post si preparano a sperimentare il nuovo canale. Che scelte compiranno i quotidiani italiani? Pensano di andare avanti con la logica del “tutto gratis” e gli striminziti ricavi che garantisce il display advertising?

2 thoughts on ““Il giornalismo online è morto”

  1. Una annotazione da chi ha parecchi anni di esperienza come giornalista “caratceo” e cinque anche su testate esclusivamente online. La distinizione tra le due attività (carta ed online) secondo me esiste ed è per tale motivo che i quotidiani mantengono le redazioni divise. Non è una “separazione delle carriere” (perchè il singolo potrebbe passare dall’una all’altra) ma ci sono modalità diverse di trovare (e verificare) le notizie, ma anche di scriverse. E’ diversa anche la cadenza dell’informazione. Per non parlare del fatto che il giornalista online deve saper manipolare (se non addirittura produrre) contenuti multimediali. Secondo me, uno degli ostacoli del passaggio all’online da parte di molti editori cartacei (specialmente nell’editoria professionale) è che hanno capito che devono investire di più in risorse giornalistiche, perchè non basta il taglia e cusi dei comunicati stampa. Una cosa che l’editoria italiana (a parte quella quotidiana e dei grandi periodici) non ama fare.

  2. “Che scelte compiranno i quotidiani italiani? Pensano di andare avanti con la logica del “tutto gratis” e gli striminziti ricavi che garantisce il display advertising?”

    La Stampa sta sperimentando i lettori multimediali. ne ha concessi 100 in prestito con un abbonamento a “La Stampa e-Paper” per vedere come va.

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