WikiLeaks, dai dati alle notizie

“Only computers will know what to ask  WikiLeaks data”. Senza competenze tecniche e di design, i dati restano muti. Così osservava il 12 novembre scorso Simon Rogers, redattore del Guardian Datablog, aprendo i lavori di un interessante workshop sulla “web data revolution” e le sue conseguenze per il giornalismo, promosso dallo stesso quotidiano inglese. Due brevi sintesi del seminario sono disponibili sul blog di Scaperwiki (si veda: The Web Data Revolution – a new future for journalism) e – con lo stesso titolo, ma con un prudente punto di domanda – su Journalism.co.uk (The web data revolution – a new future for journalism?, di Joel Gunter). Ieri Rogers ha pubblicato un ottimo esempio di design applicato ai dati rilasciati da WikiLeaks, realizzato da Finbarr Sheehy (Where are the WikiLeaks cables from?)

La rivoluzione consiste nell’accesso, reso possibile dal Web, a una serie pressoché illimitata di fonti di informazione. Una circostanza che può rendere la vita pubblica più trasparente e democratica, ma anche generare confusione e interpretazioni distorte. Con quali strumenti ci si muove nella selva di dati del Web? E come si riconoscono le informazioni veritiere e aggiornate? Il giornalismo può reinventare il proprio ruolo proponendosi come guida in questa selva digitale? Parlare di data journalism significa evidenziare modelli e connessioni che rendono i dati significativi, come giustamente osserva David McCandless di Information is Beautiful. Il giornalista deve sviluppare la capacità di accompagnare il pubblico nel viaggio che porta dall’astrazione del dato alla contestualizzazione della notizia. D’altra parte  – sostiene Simon Rogers – occorre rendere i dati più aperti possibile. Il contributo del pubblico alla loro decodifica non è meno importante di quello del giornalista. Per questo ci sono quotidiani, come il New York Times e lo stesso Guardian, che mettono l’archivio dei propri articoli a disposizione di tutti. Il materiale può essere utilizzato all’interno di qualunque sito, anche in combinazione con altri contenuti, grazie a un’interfaccia di integrazione basata su API gratuite messe a disposizione dai giornali stessi (si vedano NYTimes Open e The Guardian Open Platform).

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