È uscito da poco un volume (Second Life: oltre la realtà il virtuale, a cura di Paola Canestrari e Angelo Romeo, Milano, Lupetti, 2008) che ha il merito di tentare un’analisi ampia, di taglio sociologico, del fenomeno SL. Gli ambiti di indagine del libro sono molteplici: la politica e le istituzioni, la moda, i consumi, la cultura e l’arte, il gioco. L’intento, insomma, è studiare SL come se fosse una vera società. Dico subito, però, che non condivido l’approccio.
Analizzare un mondo virtuale come se fosse una “realtà ultima” è a mio avviso fuorviante. È fuorviante, cioè, l’idea che ci siano due dimensioni separate: la realtà, appunto, e – “oltre” a essa, per usare l’espressione che ricorre nel titolo de volume – il virtuale. Occorre dire che non è così. Il virtuale non è “oltre”, è “con”. Non è un’altra realtà, ma piuttosto una proprietà della realtà. O, per meglio dire, un suo stato. Non stupisce che i curatori del libro si richiamino alla concezione di Sherry Turkle, secondo la quale il nostro ingresso in una comunità virtuale è segnato dall’abbandono dell’identità reale e dall’adozione di un’identità nuova, totalmente altra. La visione della Turkle è stata messa in dubbio in anni recenti, a favore di una chiave di lettura diversa, che valorizza appunto la dimensione dell’integrazione fra identità reale e identità virtuali, piuttosto che quella della separazione.
Si scosta felicemente dall’impostazione generale del libro il saggio (in lingua inglese, unico di tutto il volume) di Junji Tsuchiya, A Quest for Hybrid Identities: Plastic Self and Avatarised Bodies in the Japanese Hyper-real Worlds. Correttamente, mi sembra, l’autore parla di “iper-realtà” (hyper-reality) intesa come esperienza dell’ibridazione fra mondi reali e mondi virtuali:
because it would be imperative to mutually put some unique inherencies in the one world into the other, so as to make the boundaries between both of the worlds ‘seamless’ more effectually (p. 153)
Ecco perché, alla fine, il problema del corpo continua a non essere eludibile. Anzi, lo è ancor meno nella nostra condizione post-umana, in cui sperimentiamo identità multiple e viviamo continue ibridazioni. Senza il nostro corpo fisico, i nostri avatar sono nulla. Tsuchiya considera in questo senso sintomatico il successo della consolle WII di Nintendo, ovvero una tecnologia che connette direttamente il corpo umano e una realtà virtuale tridimensionale (p. 157).
Ibridazione, quindi, è il concetto chiave. O, se preferite, remixing: l’arte di vedere le potenzialità inespresse racchiuse nel reale, ovvero le sue virtualità. Chi passa da New York in questi giorni faccia un salto al rinato MAD di Columbus Circle. C’è una bella mostra, in tema con le nostre riflessioni: Second Lives: Remixing the Ordinary. Chi, invece, si trova in Norvegia vada a Trondheim il 17 e il 18 ottobre, per il locale festival dell’arte e della tecnologia (Trondheim Matchmaking 2008): si parlerà di ibridazioni, centauri e grifoni. Keynote speaker del festival sarà Roy Ascott, padre della cyberception. Anche Ascott ci parla da sempre di sé multipli, più che di sé viruale:
We are simultaneously present in many realities: physical presence in ecospace, apparitional presence in spiritual space, telepresence in cyberspace, and vibrational presence in nanospace. Second Life is the rehearsal room for a future in which we endlessly create and distribute our many selves.