Se il New York Times sposa l’iPad

Martin A. Nisenholtz presenta l'applicazione del NYT per iPad
Martin Nisenholtz, in basso a destra, illustra l'applicazione del NYT per iPad (fonte: Gizmodo)

La demo della prima applicazione editoriale per iPad, presentata il 27 gennaio scorso dal senior vice president delle operazioni digitali del New York Times Martin A. Nisenholtz, merita qualche riflessione. Non tanto per quello che si è potuto vedere (si tratta ancora di una demo, appunto), ma per le parole che hanno accompagnato la presentazione. Siamo davvero al cospetto della “next generation of digital journalism”, come ha sentenziato Nisenholtz, nella quale “the best of print and best of digital” risultano “all rolled up into one”?

In termini generali ci viene detto che la diffusione di dispositivi come iPad di Apple e Kindle di Amazon, cui presto si aggiungerà il tablet di Google, è scontata e provocherà cambiamenti radicali nel modo di consumare le notizie da parte del pubblico di massa. Sarà – questa è la speranza di molti – la quadratura del cerchio: contenuti portabili, personalizzati e disponibili in tempo reale, ma non più gratis. Dietro l’indiscutibile potenza del modello Kindle e iPad c’è un concetto chiave: per convincere i consumatori a pagare contenuti che altri mettono a disposizione gratis (musica, notizie, …) occorre puntare non tanto sul valore aggiunto intrinseco di quei contenuti, quanto su qualità, godibilità e unicità dell’esperienza. Il concetto ha un suo corollario fondamentale: qualità, godibilità e unicità si conquistano creando ecosistemi chiusi, nei quali tutto si tiene e tutto è integrato: hardware, software di base, applicazioni e contenuti. Dunque si vince attraverso il design dell’esperienza, non del prodotto.

La prima, importante domanda è: l’applicazione per la lettura del New York Times su iPad è in grado di offrire un’esperienza ricca e appagante al punto da giustificare la sottoscrizione di un abbonamento? Come già detto, dalla demo di Nisenholtz non si è potuto evincere molto. A prima vista pare che il modello di interazione non si discosti granché da quello che il quotidiano americano offre già con Times Reader, l’applicazione basata su Adobe Air e installabile su qualunque PC previo abbonamento (3,45 dollari alla settimana). Come nel caso di Times Reader, infatti, abbiamo a che fare con un giornale “sfogliabile”. È possibile visualizzare e scorrere le pagine intere, oppure i singoli articoli, le gallerie fotografiche e i video. Ogni elemento può essere ridimensionato con la funzione zoom, stampato o salvato. Con in più il vantaggio dell’ipertestualità, che arricchisce l’esperienza offrendo la possibilità di percorsi trasversali e approfondimenti. Tuttavia la metafora di base è quella del giornale, inteso come raccolta di notizie che si aggiorna a ogni edizione. Non a caso la navigazione comincia proprio con la selezione dell’edizione: NYT del 4 febbraio, del 3, del 2 ecc. Scelta l’edizione, la navigazione prosegue per sezione (Prima pagina, Interni, Estero, Economia, Spettacolo ecc.) e per articolo.

Ora, a me sembra che questo modello di navigazione non sia particolarmente innovativo. Non lo è in quanto, dal punto di vista dell’organizzazione del materiale, rimane dentro i limiti del giornale tradizionale. La digitalizzazione della notizia dovrebbe costituire invece l’occasione per una sua reingegnerizzazione, pensando a quella che è la funzione fondamentale del giornalismo: fornire non solo la rappresentazione del fatto, ma anche una serie di chiavi di lettura, ovvero la collocazione del fatto stesso in un contesto. E spesso la chiave di lettura non sta nella singola notizia. Il contesto è dato dall’ideale integrazione fra le notizie che, giorno dopo giorno, accompagnano gli accadimenti grandi e piccoli del nostro mondo. Per decodificare tali eventi, i lettori hanno bisogno di mettere insieme le tessere di un vero e proprio mosaico. Nel giornale tradizionale questa integrazione non è sempre agevole, perché le tessere sono sparse. Restare dentro la metafora dell’edizione significa perpetuare questo limite.

Molto più interessante mi sembra invece l’esperimento di Living Stories, che New York Times e Washington Post stanno conducendo con Google Labs (sotto: il video dimostrativo di Living Stories).

Qui non si naviga per edizioni, ma per temi. Ovviamente i temi in evidenza sono quelli legati alla cronaca più recente, cioè quelli che i due quotidiani hanno coperto nelle ultime ore o negli ultimi giorni. Il tutto con aggiornamenti ogni 4-6 ore. Mentre scrivo questo post sono in evidenza temi quali il conflitto in Afganistan, il Super Bowl americano, il dibattito sulla riforma sanitaria in USA ecc. Attorno a ciascun tema si aggregano le notizie, a mano a mano che queste vengono pubblicate. L’utente può selezionare una specifica notizia, ovviamente. In tal caso consumerà l’informazione disponibile in modo “tradizionale”. È tuttavia possibile selezionare anche il tema, lavorando più sul contesto che sulla singola notizia. Ciascun tema corrisponde a una pagina. Questa è aperta da un sommario delle notizie più recenti (per esempio, selezionando il tema The War in Afghanistan, trovo una sintesi di 15 righe dei principali avvenimenti dell’ultima settimana). All’interno della stessa pagina, sotto il sommario, le singole notizie sono proposte in ordine cronologico inverso. In alternativa, è possibile navigare per sotto temi (nel caso in esame ne trovo cinque: Casualities, The Afghan Elections, The Global Response, The Troop Debate e U.S. Policy). Sempre nella stessa pagina è presente una timeline degli eventi principali, che copre le vicende afgane dall’ottobre 2009 a oggi. In definitiva il tutto si configura come un’esperienza nuova, che rafforza la funzione giornalistica. Senza la necessità di acquistare un dispositivo ad hoc né di installare software specifico sul proprio client. L’interfaccia è rigorosamente browser based.

C’è poi una seconda domanda, che a mio parere la recente presentazione dell’iPad sollecita una volta di più. Un’esperienza eccellente, come quelle con cui Steve Jobs ama stupirci, deve basarsi necessariamente su un modello chiuso? Certo, l’integrazione nativa fra hardware e software ha i suoi vantaggi. Apple ne fa da sempre una filosofia. Ma tale integrazione comporta anche un prezzo: la fine di Internet, intesa come universo di contenuti interoperabili, e l’avvento di un mondo fatto di enclave proprietarie. Se devo fare il tifo, fra iPad e HTML 5.0, scelgo HTML 5.0.

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