La timida primavera di Minsk

In questi mesi avete trepidato per le sorti della cosiddetta primavera araba e ne avete seguito gli sviluppi attraverso Facebook e Twitter? Allora anche ciò che sta accedendo in Bielorussia dovrebbe interessarvi. La situazione del paese ricorda per certi versi quella in cui sono maturate le rivolte di Tunisia ed Egitto. Questa sera ne parleranno a Milano, ospiti dell’associazione Annaviva, la giornalista Natallia Radzina e l’attivista Vera Stremskovskaja (appuntamento alle 18.30, presso l’Ostello Bello di via Medici 4).

Natallia Radzina, giornalista di Charter'97
Natallia Radzina, giornalista di Charter'97

Intanto alla guida della Bielorussia c’è un autocrate, Aleksandr Grigorievich Lukashenko (in bielorusso Lukashenka, per gli amici Luka), che il Dipartimento di Stato USA ha definito «l’ultimo dittatore d’Europa». Lukashenko governa il paese con il pugno di ferro. Solo Silvio Berlusconi pare apprezzarlo. Due anni fa, rompendo un isolamento diplomatico che durava dal 1994, andò a trovarlo a Minsk e si complimentò con lui per il consenso riscosso nel paese, dopo che l’Ocse aveva definito le ultime consultazioni «non in linea con i criteri internazionali richiesti per elezioni libere e giuste». D’altra parte Berlusconi ha un debole per i dittatori: nel dicembre scorso dichiarò di essere « legato da un’amicizia vera» a Ben Ali, Mubarak e Gheddafi.

Poi c’è una situazione economica e finanziaria disastrosa, ammessa a denti stretti da Lukashenko per ottenere il sostegno del Fondo Monetario Internazionale: inflazione al 60% da gennaio ad agosto 2011, sovvenzioni russe scese in cinque anni dal 20 al 7% del PIL, un miliardo di dollari di interessi sul debito da pagare ogni mese. È un quadro che alimenta lo scontento della popolazione e che ricorda da vicino lo scenario egiziano di inizio anno.

Infine c’è una generazione di giovani, prevalentemente urbanizzati, che appaiono sempre meno disposti a subire lo scenario attuale. Si tratta di singoli e di gruppi organizzati i quali, attraverso l’uso consapevole dei nuovi media, entrano in contatto con modelli di attivismo politico globali – gli stessi praticati in piazza Tahrir e a Zuccotti Park – e li fanno propri. I nuovi media diventano così lo spazio in cui si manifesta il conflitto politico fra il regime di Minsk e un’opposizione inedita, ancora priva di un chiaro indirizzo e di una leadership riconoscibile. In Rete agiscono coloro che protestano, ma anche gli agenti della polizia bielorussa (che si chiama KGB, come i vecchi servizi sovietici): gli uni impegnati a denunciare e mobilitare; gli altri a intercettare e oscurare.

La diffusione di Internet in Bielorussia appare ancora limitata. Secondo l’Ufficio Nazionale di Statistica, gli utenti della Rete sono circa 3 milioni, pari al 32% della popolazione. È un pubblico che si concentra nella capitale (60% del totale), fatto in prevalenza di 25-35enni. La banda larga è scarsamente diffusa, mentre la penetrazione della telefonia mobile supera il 100%. Anche in questo caso le analogie con la Tunisia e l’Egitto sono evidenti.

Come per gli altri mezzi di comunicazione, anche Internet è sottoposto a limitazioni e censure. Nel 2009 il parlamento di Minsk ha varato disposizioni molto restrittive per quanto riguarda l’uso dei nuovi media, equiparandoli a quelli tradizionali. Tutti i siti web devono essere registrati presso il Ministero dell’Informazione e possono essere oscurati in qualsiasi momento: è sufficiente che i contenuti vengano giudicati «non corrispondenti alla realtà», oppure «pericolosi per gli interessi dello Stato». Sono previste sanzioni anche per i siti che, per i loro contenuti, «discreditano la Repubblica di Bielorussia». Negli ultimi due anni diversi organi di informazione online si sono attestati su nomi di dominio basati all’estero, per non sottostare alla legislazione nazionale. Il sito dell’organizzazione Charter’97, per esempio, è gestito da un service provider di Washington. Tuttavia l’operatore telefonico di stato Beltelekom, che controlla la totalità delle connessioni internazionali, ha la possibilità di bloccare l’accesso ai contenuti ospitati su server oltreconfine. Lo stesso sito di Charter’97 è stato oscurato più volte fra il 2010 e il 2011. E in occasione delle elezioni presidenziali del 2010 è stato impossibile accedere ai siti di Twitter, Facebook, Gmail e Yahoo! Mail.

[Revisione del 5 novembre 2011: Ieri sera ho avuto modo di conversare con Natallia Radzina, la quale mi segnala che il server del sito di Charter’97 non si trova più negli Stati Uniti, come affermato nel mio post, ma in un paese europeo, che non nominiamo per ragioni di sicurezza. Ricordo che la Radzina è fuggita dalla Bielorussia, dove si trovava agli arresti domiciliari nella sua città natale di Kobryn, e vive attualmente all’estero.]

Su questo traffico, poi, il KGB svolge un monitoraggio costante. Il giornalista americano Evgeny Morozov, di origini bielorusse, dedica al fenomeno un capitolo (Why the KGB Wants You to Join Facebook, pp. 143-178) del suo recente libro The Net Delusion: The Dark Side of Internet Freedom (New York, 2011). Morozov documenta il caso dell’attivista Pavel Lyashkovich, arrestato in seguito alle informazioni raccolte dalla polizia mediante attività – ampliamente praticata dalle dittature di tutto il mondo – di deep packet inspection.

Dove non si arriva con la legge, si procede attraverso l’intimidazione e la violenza. Nel settembre del 2010 Aleh Byabenin, fondatore e direttore di Charter’97, è stato trovato morto nella sua casa alle porte di Minsk. Ufficialmente si è trattato di un suicidio, ma chi conosceva Byabenin dubita della veridicità di questa versione. Diversi giornalisti che si sono occupati del caso, sollevando dubbi sulla qualità delle indagini, hanno ricevuto a propria volta minacce di morte.

Nell’estate di quest’anno l’uso dei social network da parte dei gruppi di opposizione bielorussi si è fatto più sistematico, sul modello di quanto osservato nei mesi precedenti in Tunisia e in Egitto. I social network sono stati utilizzati per promuovere le proteste di piazza di luglio, raccogliendo per la prima volta un consenso esplicito di proporzioni massicce. In Bielorussia Facebook non ha una penetrazione significativa. Gli utenti sono circa 330 mila, pari ad appena il 7,5% della popolazione online. In Italia, per dire, la penetrazione di Facebook è superiore al 68% dell’audience in rete (fonte: Checkfacebook, novembre 2011). Ben più popolare è Vkontakte, il social network di riferimento per tutto il mondo russofono, che ha 3,6 milioni di utenti bielorussi (fonte: elaborazione su dati Alexa). Ed è su Vkontakte, infatti, che si è manifestato lo scontro fra dissidenti e regime.

Fra giugno e luglio sono sorti diversi gruppi di Vkontakte (funzionano più o meno come quelli di Facebook), che hanno raccolto centinaia di migliaia di sostenitori online. Alcuni di essi sono stati prontamente oscurati dalla polizia, come Sosteniamo la grande Bielorussia (120 mila utenti registrati), Marcia da un milione (40 mila) e Saremo un milione (20 mila). Questi gruppi avevano un obiettivo comune: promuovere una serie di manifestazioni pubbliche nelle principali città del paese, convocando tutti i settori della società civile. Oggi sono tuttora attivi i gruppi Rivoluzione attraverso il social networking (promosso dal Movimento per il futuro e forte di 32 mila membri), Stop Luka (quasi 30 mila simpatizzanti, presente anche su Twitter con 350 followers) e Belarus Free Theatre (oltre mille utenti registrati).

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