James Fallows, decano del giornalismo d’oltreoceano, ha firmato nel numero di aprile di “the Atlantic” una stimolante riflessione sul deficit di qualità dell’informazione contemporanea. O meglio: sul pericolo che su questo deficit si innesti la petulante retorica del declino (“non c’è più il giornalismo di una volta”). Una retorica che idealizza il passato e stenta a comprendere il presente. Fallows considera il caso dei news media americani. Però credo che la sua analisi possa valere anche per altri paesi, Italia compresa.
Vale la pena di leggersi per intero l’articolo Learning to Love the (Shallow, Divisive, Unreliable) New Media, che qui sintetizzo. È diffusa la convinzione che l’informazione di oggi sia peggiore rispetto a quella di ieri e che tale circostanza esponga la società a una minaccia: quella di essere formata da individui sempre meno capaci di comprendere il mondo e di assumere decisioni in modo consapevole. Da notare che, già quindici anni fa, lo stesso Fallows segnalava questo rischio. Nel suo bel libro Breaking the News. How the Media Undermine American Democracy (1996) Fallows denunciava la tendenza dei mezzi di informazione americani a concentrarsi in misura crescente sulla dimensione scandalistica e spettacolare delle notizie, allontanando i cittadini dalla vita pubblica e ostacolando l’agenda setting strategico da parte della politica.
Il cuore del problema risiede nel discrimine fra le notizie cui i cittadini sono interessati (“what people want”) e le notizie che essi dovrebbero conoscere per prendere decisioni consapevoli (“what they should want”). Questo conflitto – osserva Fallows – è antico quanto il giornalismo. In nome della responsabilità sociale dei mezzi di informazione, da almeno un secolo di sostiene la necessità di regolare la loro attività e si proclama l’esigenza di inquadrare il mestiere del giornalista entro una precisa cornice deontologica. Il problema è che oggi l’equilibrio, almeno apparente, fra obiettivi di mercato e funzione sociale dei media sembra essersi infranto. Si è spezzato il legame che teneva insieme la parte “nobile” della faccenda (le notizie che era doveroso dare, a prescindere dalla domanda) con la sua dimensione commerciale (i guadagni che era necessario conseguire), consentendo che l’una fosse sostenuta dall’altra. L’epoca in cui un giornale come il “New York Times” pagava il proprio ufficio di corrispondenza a Baghdad vendendo spazi pubblicitari all’industria automobilistica è finita. I lettori otterranno sempre più ciò che vogliono e sempre meno ciò che qualcuno ritiene che essi dovrebbero volere. E gli investitori pubblicitari si comporteranno di conseguenza.
Fallows nega però che questo rappresenti la fine di tutto. E ciò in quanto, a suo avviso, due fatti risultano indimostrabili: in primo luogo, che vi sia una relazione fra le trasformazioni recenti del giornalismo e il decadimento della vita civile americana (di cui pure lo stesso Fallows riconosce i segni); secondariamente che il giornalismo del passato fosse sempre migliore di quello attuale. Non lo era, per dire, il giornalismo del 1979 che processò Jimmy Carter per la questione degli ostaggi presso l’ambasciata USA a Teheran. Né lo era quello irresponsabile e volgare degli anni Venti, descritto mirabilmente nella commedia di Ben Hecht e Charles MacArthur The Front Page, poi trasposta per il cinema da Howard Hawks (La signora del venerdì, 1940) e da Billy Wilder (Prima pagina, 1974). E forse non era così nobile anche il giornalismo di Bob Woodward e Carl Bernstein, che rivelò i retroscena dello scandalo Watergate nel 1973.
Fallows sembra attratto da quello che vede come il lato buono dell’infotainment, ossia la capacità di rispondere a una linea narrativa falsa con una storia alternativa, anziché con la verifica fattuale cara al giornalismo liberal. “È ciò che fanno Jon Stewart e Stephen Colbert”, sostiene Nick Denton, patron di Gawker Media. Per contrastare la faziosità di Fox News i due conduttori non fanno appello ai fatti e alla logica. Semplicemente usano i fatti all’interno di storie diverse, “in a way that makes them register in a way they hadn’t before”. È una strategia efficace, che evita la trappola della polarizzazione fra visioni contrapposte, quella che Jürgen Habermas chiama la rifeudalizzazione della sfera pubblica.
A che cosa servono, dunque, i mezzi di informazione? Fallows mostra di credere ancora che esista una relazione fra le potenzialità del giornalismo ai temi di Internet e i problemi della vita associata, anche se è difficile affermare che il primo esista per risolvere i secondi:
But perhaps this apparently late stage is actually an early stage, in the collective drive and willingness to devise new means of explaining the world and in the individual ability to investigate, weigh, and interpret the ever richer supply of information available to us. Recall the uprisings in Iran and Egypt. Recall the response to the tsunami in Indonesia and the earthquake in Haiti. My understanding of technological and political history makes me think it is still early. Also, there is no point in thinking anything else.