Dopo l’11 settembre

Comprensibile, in termini di marketing, la scelta del “Corriere della Sera” di intitolare il suo collezionabile in edicola in queste settimane 11.9 Il giorno che ha cambiato il mondo. Tuttavia il primo decennale dell’11/9 è segnato dall’idea che l’attentato alle Torri Gemelle non abbia trasformato il mondo come Bin Laden avrebbe desiderato. A dieci anni di distanza sembra che l’Occidente sia minacciato più da se stesso che dall’estremismo islamico. Ha scritto Philip Stephens: «Praticamente tutto è cambiato dagli attacchi su New York e Washington di dieci anni fa. Lo scenario geopolitico ed economico appare ridisegnato. È curioso constatare la scarsa influenza dell’11/9 su questi cambiamenti» (“Financial Times”, 1 settembre 2011). Sulle pagine dello stesso giornale gli ha fatto eco Lionel Barber: «Le tre parole più importanti dell’ultima decade non sono state “war on terror”, ma “made in China”. E quelle della prossima decade potrebbero essere “owned by China”» (“Financial Times”, 5 settembre 2011).

11 settembre 2001

In realtà si potrebbe contestare questa conclusione. Si potrebbe, al contrario, evidenziare il filo rosso che unisce alcuni eventi: l’attentato alle Torri Gemelle del 2001, la dottrina di George W. Bush per la democrazia in Medio Oriente (enunciata il 6 novembre 2003 nel corso di un celebre intervento al National Endowment for Democracy, in cui si constatava come perdonare e tollerare per sessant’anni la mancanza di libertà in Medio Oriente non avesse contribuito a rendere l’Occidente più sicuro), il discorso ancora più celebre di Barak Obama all’Università di al Ahazar al Cairo del 4 giugno 2009 («ho la convinzione certa che tutti i popoli desiderino alcune cose: la possibilità di poter affermare le proprie opinioni e poter avere voce su come si è governati») e infine le sollevazioni arabe di quest’anno. Sicché gli autocrati di Egitto, Tunisia, Libia ecc., potendo prevedere questa concatenazione di eventi, l’11 settembre 2001 avrebbero dovuto capire che quello era per loro l’inizio della fine. Ma nessuno riuscirà a dimostrare il rapporto di causa-effetto fra tali eventi. E resta il sospetto che essi siano tutti effetti di un’unica, grande causa: la globalizzazione.

Diverso è il discorso se dal piano storico passiamo a quello simbolico. Non è necessario che qualcosa sia causa di qualcos’altro per affermare che ne sia il simbolo. A me sembra, quindi, che la distruzione delle Twin Towers, pur non avendo prodotto alcuno dei grandi cambiamenti di questo decennio, oggi li simboleggi tutti. E in questo senso non è vero quanto postulava Jean Baudrillard, identificando nell’attentato dell’11 settembre un simulacro, ovvero uno spettacolo che significa solo se stesso. 11/9 significa molte cose (la crisi dell’egemonia americana, il crollo di un certo modello finanziario, la paura del futuro, …). E molte altre ne significherà, a mano a mano che capiteranno.

In questo senso mi sembrano interessanti – oltre che un po’ furbette, lo ammetto – due iniziative del «New York Times» (sopra) e di Al Jazeera (sotto). Entrambe mirano non tanto a ricostruire la verità storica sull’11/9, quanto a stimolare lo storytelling della gente e quindi la stratificazione dei significati e delle interpretazioni.

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