Ripensando al bel libro di Stefano Bartezzaghi, Il falò delle novità. La creatività al tempo dei cellulari intelligenti (Utet, 2013) e alle cose dette ieri per presentarlo a Milano, complici Marco Belpoliti e Sara Porro, mi persuado che il problema non è la creatività, ma il creativo.
Il creativo è un tipo sociologico così definibile:
- è tale in quanto si dice tale (e appartiene dunque alla casistica delle profezie che si autoadempiono)
- si dice tale per mascherare a sé e agli altri di essere un esponente del ceto mediocre (il ceto medio non esiste più, ma quello mediocre ci ammorba)
- ha successo perché, come nota Bartezzaghi, la sua aurea è contagiosa
In breve, il creativo manifesta nel suo essere tale il sintomo di un irrisolto complesso di inferiorità.
Ieri ci siamo scordati di citare il caso di Apple, che è da manuale. La casa di Cupertino sforna oggetti di largo consumo camuffati da prodotti speciali. Sono di massa, come il cheeseburger di McDonalds. Ma il loro contenuto creativo li arricchisce di una funzione totemica. Nessuno si sente cool dopo avere consumato un cheeseburger, tutti si sentono cool perché maneggiano un iPhone. E se il tuo computer è un Mac, questo è segno che sei creativo. Ecco la contagiosità cui allude Bartezzaghi. Io parlerei addirittura di proprietà transitiva.
Qualcuno fra il pubblico, ieri, ha tentato una timida difesa del creativo. In fondo anche Dio e la donna sono creativi, ha detto, nel senso che generano qualcosa dal nulla. Direi semmai che Dio è creatore, non creativo. La donna è creatrice, non creativa. Ma creatore è molto meno fico di creativo. Una ricerca su Google con la chiave ‘creativo’ totalizza oltre 44 milioni di risultati. Usando il termine ‘creatore’ ci fermiamo ad appena 5 milioni.
In sostanza, visto che si tratta di parole, ecco come rovinare una base nominale (quella di creatore) con un suffisso aggettivale (-ivo). Per fortuna basta aggiungere un prefisso, magari con valore ripetitivo, per recuperare il senso della misura. Perché non c’è solo la creazione (di quella ce n’è una sola: come Dio e come la mamma, appunto). C’è anche la ricreazione. Alla quale non servono fragorosi squilli di tromba per annunciarsi. Le basta il suono gentile di una campanella, come ben sanno i miei figli piccoli, che ogni giorno la attendono con ansia alla scuola elementare.