Ultrasurf è un software di internet censorship circumvention, ossia un sistema che implementa protocolli di cifratura delle comunicazioni e che, agganciandosi in modo automatico a un proxy, nasconde l’IP dell’utente. Il numero di attivisti cinesi che lo usano con l’obiettivo di muoversi online in modo anonimo e protetto è significativo: merito della semplicità di utilizzo (è un’eseguibile che funziona senza installazione) e della sua popolarità presso i seguaci del movimento Falun Gong, che hanno contribuito a svilupparlo.
Due mesi fa un’approfondita analisi di Jacob Appelbaum, membro del Tor Project e figura di spicco del movimento hacker, ha messo però in discussione l’effettiva sicurezza di Ultrasurf (cfr. Technical analysis of the Ultrasurf proxying software). In sostanza Appelbaum, noto in Rete anche con l’appellativo “ioerror”, ha identificato diversi punti deboli del prodotto, dimostrando la possibilità di monitorarne e bloccarne l’uso mediante strumenti software largamente impiegati dalle censure di tutto il mondo. In particolare Ultrasurf è risultato vulnerabile ai dispositivi di web filtering commercializzati da Blue Coat Systems, dei quali fa uso fra l’altro il governo siriano (si veda l’articolo di Sari Horwitz sul “Washington Post” del 19 novembre 2011, U.S. probing use of surveillance technology in Syria).
La replica degli sviluppatori di Ultrasurf non si è fatta attendere (cfr. Tor’s critique of Ultrasurf: A reply from the Ultrasurf developers). Ma intanto l’analisi di Appelbaum ha riattizzato la discussione sull’affidabilità dei software che gli attivisti – non solo cinesi – impiegano per sfuggire ai controlli dei regimi autoritari. Una discussione che ha pesanti conseguenze politiche, perché il governo USA sostiene attivamente la diffusione di questi software in tutto il mondo. Quando, all’inizio del 2010, il Dipartimento di Stato annunciò che la lotta per la libertà su Internet sarebbe stata una delle colonne della politica esterna americana, Hillary Clinton rese espliciti i termini dell’impegno USA in questo settore: un programma che ha già visto spesi circa 100 milioni di dollari e che prevede ulteriori finanziamenti per 25 milioni di dollari nel 2012 e 27,5 milioni nel 2013. Ecco quanto Clinton ebbe a dichiarare nel suo famoso intervento del 15 febbraio 2011 alla George Washington University di Washington, D.C. (Internet Rights and Wrongs: Choices & Challenges in a Networked World):
We are taking a venture capital-style approach, supporting a portfolio of technologies, tools and training, and adapting as more users shift to mobile devices.
Questo approccio, basato sulla logica dei finanziamenti a pioggia, è però stato talvolta criticato. Per esempio Jackson Diehl, editorialista del “Washington Post”, suggeriva già nell’ottobre del 2010 di evitare la dispersione delle risorse, concentrando il supporto proprio su Ultrasurf e Freegate (cfr. Time to reboot our push for global Internet freedom, 25 ottobre 2010). Si può immaginare che i nuovi dubbi sull’affidabilità di Ultrasurf alimenteranno ulteriormente il dibattito riguardo al modo migliore di sostenere lo sviluppo della libertà in Internet. Intanto vale la pena di considerare alcuni dati forniti da Xiao Qiang, docente a Berkeley ed esperto di cyberattivismo cinese, riportati dalla solita, preziosissima Rebecca MacKinnon su “Foregin Policy” (cfr. The Shawshank Prevention, 2 maggio 2012). Sono 2-3 milioni gli utenti di Internet che, in Cina, fanno uso di vari strumenti per proteggere il proprio anonimato online e difendersi dalla censura locale: davvero pochi, rispetto al totale della popolazione in rete.
Un’ampia analisi comparativa dei software anti-censura, realizzata dalla Freedom House, è disponibile qui: http://www.freedomhouse.org/sites/default/files/inline_images/Censorship.pdf