Mercato editoriale e e-book: il caso Italia

Dal 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, di recentissima pubblicazione, apprendiamo che nei primi nove mesi del 2010 la quota di mercato dei libri digitali in Italia, pur triplicando  rispetto al 2009, non è andata oltre uno striminzito 0,1% (in soldoni: 3,4 milioni di euro). Da gennaio a settembre 2010 sono stati pubblicati nel nostro paese solo 3.202 titoli elettronici: ancora troppo pochi per poter parlare di un vero mercato dell’e-book.

Perché l’Italia è così indietro? Sarà ovvio, ma forse non del tutto inutile ricordare che le condizioni del mercato librario italiano sono assai diverse da quelle di altri paesi, sviluppati o in via di sviluppo. Per valutare in termini realistici le prospettive dell’e-book nel nostro paese, occorre dunque partire da qui. Perché il mercato del libro elettronico è necessariamente una quota del mercato editoriale complessivo. E quindi sconta in Italia diversi gap. Da un lato c’è la penetrazione ancora relativamente modesta dei dispositivi di lettura elettronica (non solo e-reader e tablet, ma anche personal computer), i quali rappresentano la vera barriera all’accesso in questo mercato per il consumatore. A ciò si aggiunge il fatto che sull’e-book grava un’aliquota IVA del 20%, applicandosi il regime del “commercio elettronico diretto”, mentre per i libri tradizionali (a parte quelli a contenuto pornografico), l’IVA è pari al 4%. In Francia, per dire, è appena stata varata una norma che riduce l’IVA sull’e-book dal 19,6 al 5,5%. Ma il vero problema è la diffusione ridotta del prodotto librario in Italia.

Ecco, di seguito, alcuni dati sognificativi.

L’Istat ci informa che nel 2008 sono stati pubblicati in Italia circa 59 mila titoli, compresi quelli destinati all’adozione scolastica (quasi 5 mila titoli) e i libri per bambini e ragazzi (poco più di 4 mila titoli), per un totale di 213 milioni di copie. In altri termini ogni giorno i cataloghi degli editori italiani si arricchiscono di oltre 160 opere. Non si tratta di una produzione trascurabile, anche se in altri paesi viene proposto sul mercato un numero di opere molto maggiore. In Germania, per esempio, nel 2008 sono stati pubblicati più di 94 mila titoli (fonte: ICE). Il vero problema italiano è la tiratura. Questa è assai modesta, mediamente pari a 3.600 copie, in calo rispetto al 2007.

Nel nostro paese i lettori di libri – ovvero coloro che hanno letto almeno un libro nell’arco di dodici mesi – sono pari al 63% della popolazione, contro l’82% del Regno Unito, l’81% della Germania e il 71% della Francia (in questo caso il dato è relativo al 2009). La percentuale include anche a chi è “costretto” a leggere per ragioni di studio o professionali. Se invece consideriamo solo i consumatori di libri nel tempo libero, la quota di coloro che hanno letto almeno un volume in un anno scende al 45,1% (con una marcata differenza fra uomini e donne: 43,6% contro il 51,6%). Nelle regioni del Mezzogiorno, poi, si può dire che – sempre considerando i consumatori nel tempo libero – lo scorso anno due persone su tre non abbiano letto un solo libro. Infine gli italiani che nel 2009 hanno letto almeno cinque libri sono pari al 20% della popolazione, contro una media del 37% della UE. Solo il 15,2% degli italiani legge un libro al mese (in aumento di due punti percentuali rispetto al 2008)

La scarsa attitudine degli italiani al consumo di libri determina le dimensioni del mercato, non certo entusiasmanti. Nel 2009 il fatturato dell’industria libraria, inclusa la produzione scolastica, è stato pari ad appena 3,4 miliardi di euro, in flessione del 4,3% rispetto all’anno precedente (fonte: Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2010, a cura dell’Associazione Italiana Editori). Un volume d’affari che, per due terzi, è appannaggio dei primi sei gruppi: Mondadori, RCS, GEMS, De Agostini, Giunti e Feltrinelli. Altri 50 editori di medie dimensioni rappresentano un ulteriore 23% del mercato, mentre i restanti 250 milioni di ricavi sono divisi fra oltre una pletora di piccoli editori. Le case editrici con una presenza stabile e diffusa nelle librerie italiane sono circa 1.600, ma quelle attive anche con un solo titolo sono oltre 7 mila.

E qui si evidenzia una ulteriore specificità del mercato italiano: il peso preponderante dei grandi gruppi editoriali rispetto alle case editrici indipendenti. Ne consegue una spaccatura fra i primi e le seconde: gli uni in grado di sostenere politiche commerciali più aggressive, le altre sotto pressione proprio a causa di tali politiche. Da circa un anno il terreno di scontro è la proposta di legge sul prezzo dei libri, approvata alla Camera e in discussione al Senato. Si tratta di un progetto che concede più margini di manovra agli editori interessati a praticare sconti sul prezzo di copertina e a svolgere promozioni. I piccoli editori insistono invece per fissare un tetto tanto agli sconti (massimo 15%, ma meglio sarebbe 5%) quanto alla durata delle promozioni (massimo due mesi e con l’esclusione delle novità). Il 18 novembre scorso la Commissione Cultura del Senato ha modificato il testo in discussione. Sono state accolte diverse richieste degli editori indipendenti, alcuni dei quali nel frattempo si sono organizzati nel movimento di protesta dei Mulini a Vento (si veda il blog Legge sul prezzo del libro).

Secondo i piccoli editori il prezzo fisso del libro rappresenta una diga contro la banalizzazione culturale, come testimoniano i casi virtuosi di Francia e Germania. Fra l’altro il parlamento francese sta discutendo anche una legge per il prezzo fisso degli e-book. Viceversa L’Associazione Librai Italiani ha criticato la versione del DDL approvata in commissione, giudicando valida quella licenziata a suo tempo dalla Camera (si veda il comunicato stampa dell’ALI qui). L’Associazione, che rappresenta circa 2.600 librerie, non teme la deregulation del prezzo di copertina, ma ritiene anzi che contribuirà a riequilibrare un mercato sempre più dominato dai grandi editori proprietari di librerie online e di catena e dai principali fornitori della GDO.

Sarà, ma a noi sembra che gli interessi dei grandi editori si saldino con quelli delle librerie di catena (la Feltrinelli Ricordi Mediastore, Mondadori e Giunti, per intenderci) e della GDO, il cui peso aumenta anno dopo anno rispetto a quello delle librerie indipendenti. Nel 2009 il giro d’affari delle librerie è stato di 1,1 miliardi di euro, pari a un terzo del totale (il valore non comprende i libri scolastici di adozione e quelli venduti nelle librerie dei musei). Ovviamente la libreria di catena cresce più in fretta (+4,6% sul 2008) rispetto a quella a conduzione familiare (+0,6%). La GDO ha fatturato 261 milioni di euro (+3,9% rispetto al 2008). Le vendite rateali e quelle per corrispondenza valgono rispettivamente 213,4 e 120 milioni di euro (entrambe in forte calo per due anni consecutivi). Quanto al canale online, esso è in forte crescita in Italia: +94,4% tra il 2006 e il 2009, +11,9% tra il 2008 e il 2009, con ricavi superiori a 100 milioni di euro. Anche i primi mesi del 2010 sono positivi: rispetto al giugno del 2009, le librerie online hanno fatto registrare un incremento dell’attività del 24,5%.

Un dato interessante riguarda la persistenza del canale online rispetto a quello fisico. Un titolo a scaffale in un negozio online è per sempre, almeno fino a quanto quel titolo sarà disponibile a magazzino. Viceversa il tempo medio di resistenza in libreria di un nuovo titolo è di 40 giorni. In altri termini, i libri scompaiono dalle librerie prima che noi li scopriamo e decidiamo di acquistarli. Sarà anche per questo, forse, che il 60% dei titoli pubblicati non vende una sola copia.

2 thoughts on “Mercato editoriale e e-book: il caso Italia

  1. Oggi Alessandro Bompieri, amministratore delegato di RCS Libri, ha dichiarato al Corriere della Sera di attendersi che il mercato italiano degli e-book possa arrivare a un 5-6% del totale nel prossimo triennio.

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