The Globe Theatre

Il Cappellaio di Shakespeare

Questo post è per celebrare il 448° compleanno di Shakespeare (ho aderito all’iniziativa #happybirthdayshakespeare). Che cosa c’entra Shakespeare con Alice?

Nell’antico quartiere londinese di Southwark, in Stamford Street, un delizioso edificio di fine Ottocento ospita il Mad Hatter Hotel. Mi è capitato di soggiornarvi recentemente. L’albergo si trova a pochi passi dal Globe Theatre di shakespeariana memoria, e questa mi è sembrata una coincidenza degna di nota. Spiegare che cosa unisca William Shakespeare a Lewis Carroll è fin troppo semplice, in apparenza. Sono due classici che, attraverso la letteratura, continuano a produrre metafore e chiavi di interpretazione ben al di là delle epoche storiche in cui sono vissuti. Qualunque cosa diciamo, essi l’hanno già detta. Anzi, hanno detto di più. E questo surplus di significazione della loro opera costituisce una risorsa preziosa. Perché a essa continuiamo ad attingere per tentare di dare un senso alle nostre esperienze di contemporanei.

The Mad Hatter

Ma, considerato in una prospettiva diversa, il nesso fra Shakespeare a Carroll è un po’ come l’enigma posto ad Alice dal Cappellaio Matto, su cui generazioni di esegeti si sono esercitati invano, per scoprire l’anello di congiunzione fra il corvo e lo scrittoio (“Why is a raven like a writing desk?”).

A me il Globe Theatre ha sempre interessato come fatto topografico: sta all’arte della parola come il laboratorio di Greenwich sta alla geografia, come Gerusalemme al monoteismo. Quando ho deciso di intitolare questo blog al Grande Globo, in effetti, avevo in mente una sequenza del film Looking for Richard, di Al Pacino (1996). Il protagonista visita il cantiere dove all’epoca erano in corso i lavori di ricostruzione del teatro della compagnia di Shakespeare, distrutto dai Puritani nel 1644 (l’opera fu poi completata l’anno successivo all’uscita della pellicola). Lì, in cerca di ispirazione, Pacino si interroga sulla duplice impossibilità di ripristinare un legame autentico con il Bardo: per sé come regista/attore e per i destinatari del film come spettatori.

Quella sequenza rimanda dunque per me al tema della decodifica interminabile non solo dell’opera d’arte, ma di ogni manifestazione della comunicazione umana. Consiglio un pellegrinaggio al Globe Theatre, un tuffo nell’ombelico in cui precipita ogni esistenza intesa come rappresentazione (“Totus mundus agit histrionem”, stava scritto sopra il palcoscenico elisabettiano), un viatico contro ogni tentazione cibernetica o altre malinconiche scorciatoie. E contro la sciocca idea che si possa trovare, una volta per tutte, il nesso fra il corvo e lo scrittoio.

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