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Storia dei nuovi media e disagio postmediale

I nuovi media tra XX e XXI secolo: computer, rimediazione, cultura partecipativa e condizione postmediale. Sintesi del mio incontro del 27 novembre 2019 con gli studenti di Scienze Politiche al corso di Storia contemporanea all’Università Statale di Milano.

Riassumere in due ore la storia dei nuovi media tra XX e XXI secolo, o almeno cercare di dire qualcosa di sensato sul tema, è impresa disperata. Accettando l’invito di Maria Canella, a conclusione del suo insegnamento di Storia contemporanea all’Università Statale di Milano (Scienze Politiche) dell’anno accademico 2019-2020, ero conscio dei rischi che avrei corso.

Ho pensato di percorrere uno schema che non va inteso in senso diacronico, ma semmai concettuale. Si tratta di una mappa mentale, più che una cronologia, fatta di poche parole chiave collegate.

Il primo passaggio è quello relativo all’espressione «nuovi media». Che cos’hanno, di nuovo, i cosiddetti nuovi media? Come li riconosciamo? E inoltre: a partire da quale momento ai media tradizionali si sono affiancati i nuovi media? All’espressione «nuovi media» ne collego subito due, in parallelo: da un lato l’espressione «rimediazione» (che vuol dire: ciò che un nuovo medium fa nei confronti di un medium precedente), dall’altro il termine «computer» (che è un po’ come dire «computazione» o «digitale»).

La rimediazione mi sollecita una ulteriore parola chiave: «cultura partecipativa», la quale rimanda ai modi specifici della rimediazione nel contesto dei nuovi media. Il computer, d’altro canto, richiama il concetto e la parola «software» (codice, procedura, istruzione, algoritmo). E il software conduce a propria volta alla «agency», ovvero la sua capacità di agire nel mondo. Ma in questo senso il software è parte del «dispositivo» – ulteriore parola chiave – ossia del processo che orienta i nostri comportamenti e i nostri discorsi. Da qui il richiamo al «disagio» (l’Unbehagen di Freud), provocato dalle disfunzionalità del rapporto fra agente umano e agente artificiale all’interno del dispositivo. Infine, il disagio è anche quello che deriva dalla «condizione postmediale» – ultima parola chiave della mappa – quale esito delle pratiche partecipative di cui sopra e quindi di una immersione permanente nei media.

La-mappa-concettuale-dei-nuovi-media

Computer come metamedium

Siamo – si dice – nell’epoca dei nuovi media. Ma che cosa intendiamo, quando parliamo di «nuovi media»? La risposta più semplice, forse, è anche la più giusta: i nuovi media sono quelli computerizzati, ossia quelli accomunati dallo stesso codice binario (digitale). In questo senso il computer è un metamedium, che computerizza tutti gli altri. Il computer è il medium.

Quando affermiamo che oggi tutti i media convergono nel computer, ci riferiamo in realtà di tre fenomeni. Da un lato alludiamo alla convergenza tecnologica, che ha il suo fondamento nella equiparazione dei formati e nella portabilità dei contenuti. Il codice digitale è un linguaggio universale, e il computer è la sua piattaforma. In secondo luogo parliamo della convergenza in senso culturale, ossia della interdipendenza fra i nuovi media e della competizione che si instaura fra vecchi e nuovi media. Infine osserviamo che gli oggetti diventano mediali – diciamo: si fanno media – per effetto della computerizzazione. L’automobile, il frigorifero, i giocattoli dei nostri bambini, financo i vestiti che indossiamo: tutto si computerizza e, conseguentemente, si mediatizza.

Rimediazione

Ma i nuovi media sostituiscono i media tradizionali? Più in generale un nuovo medium uccide quello che lo ha preceduto, come il figlio uccide il padre?

Nel memorabile dialogo fra l’arcidiacono Claude Frollo e il dotto Jacques Coictier – nel primo capitolo del quinto libro di Notre-Dame de Paris, aggiunto con l’edizione definitiva del 1832 – Victor Hugo suggerisce che le cose vadano proprio in questo modo. Nel passo in questione Frollo e Coictier disquisiscono sul tema della trasmissione della cultura. Frollo ritiene che la cultura del libro distruggerà quella della architettura, intesa come codice nel quale per secoli, prima dell’invenzione della stampa, sono state scritte la coscienza e la storia dell’umanità. «Ceci tuera cela» proclama Frollo con enfasi. «Ceci» è appunto il libro, l’assassino. «Cela» è la cattedrale, la vittima. Nel successivo secondo capitolo Victor Hugo sospende la narrazione per corroborare la teoria della sostituzione: il libro al posto della cattedrale.

In realtà è più corretto immaginare che il nuovo medium rimedi il vecchio, anziché sostituirlo. Prima Marshall McLuhan, poi Jay David Bolter e Richard Grusin, ci hanno insegnato che i nuovi media interagiscono e si integrano continuamente tra di loro. Ogni medium è in realtà un ibrido di diversi elementi ed è la rappresentazione di un altro medium (rimediazione). I contenuti dei vecchi media vengono adattati ai formati di quelli nuovi: «il contenuto di un medium è sempre un altro medium» (M. McLuhan).

Cultura partecipativa

Ma la rimediazione che si manifesta nei nuovi media ha caratteri particolari. È una rimediazione senza intermediazione. Ciò ha a che fare con le caratteristiche della già citata convergenza, che mette a disposizione dei pubblici dei media strumenti molto più potenti rispetto al passato. Tecnologie interattive formano utenti partecipativi, per cui la convergenza dei nuovi media è di tipo grassroot. Con i nuovi media nasce una forma inedita di cultura partecipativa (Henry Jenkins). Attorno ai nuovi media si strutturano pratiche in cui consumo e produzione tendono a integrarsi. Nasce la figura del prosumer, produttore e consumatore di contenuti al tempo stesso.

L’anima della cultura partecipativa è il software, ci spiega Lev Manovich, con la sua grammatica fondata su quattro principi cardine:

  • Modularità (i nuovi oggetti mediali hanno struttura modulare e dunque possono essere manipolati in modo modulare)
  • Automazione (grazie alla codifica numerica e alla struttura modulare, i nuovi media presuppongono l’automazione di molte operazioni manipolative, sottraendole all’intenzionalità umana)
  • Variabilità (gli oggetti dei nuovi media possono può essere declinati in versioni molto diverse tra loro, potenzialmente in un’infinità di varianti, fino a mettere in discussione l’idea di originale)
  • Transcodifica (i contenuti dei nuovi media possono migrare da una piattaforma all’altra)

Abilità partecipative

Dunque il linguaggio dei nuovi media struttura a propria volta la cultura partecipativa, che si caratterizza per una serie di attributi, corrispondenti ad altrettante abilità così definite ancora da Henry Jenkins:

  • Gioco («la capacità di fare esperienza di ciò che ci circonda come forma di problem solving»)
  • Simulazione («l’abilità di interpretare e costruire modelli dinamici dei processi del mondo reale»)
  • Performance («l’abilità di impersonare identità alternative per l’improvvisazione e la scoperta»)
  • Appropriazione («l’abilità di campionare e e miscelare contenuti mediali dando loro significato»)
  • Multitasking («l’abilità di scansionare l’ambiente e di prestare, di volta in volta, attenzione ai dettagli salienti»)
  • Conoscenza distribuita («l’abilità di interagire in maniera significativa con strumenti che espandono le capacità mentali»)
  • Intelligenza collettiva («l’abilità di mettere insieme conoscenza e confrontare opinioni con altri in vista di un obiettivo comune»)
  • Giudizio («l’abilità di valutare l’affidabilità e la credibilità di differenti fonti di informazione»)
  • Navigazione transmedia («la capacità di seguire un flusso di storie e informazioni attraverso una molteplicità di piattaforme mediali»)
  • Networking («l’abilità di cercare, sintetizzare e disseminare informazione»)
  • Negoziazione («l’abilità di viaggiare attraverso differenti comunità, riconoscendo e rispettando la molteplicità di prospettive e comprendendo e seguendo norme alternative»)

La agency del software

Che cos’è dunque il software? È, a propria volta, un medium. Nel senso che attraverso di esso leggiamo il mondo. Allo stesso tempo, il software integra le nostre capacità e le potenzia, come se si trattasse di una protesi cognitiva. Dunque il software non è solo una chiave di lettura, ma anche uno strumento di trasformazione della realtà. Il suo è un potere performativo e ascrittivo, più che descrittivo: l’esecuzione del codice crea nuove condizioni di realtà.

In questo senso il software è dotato di agency, ossia della capacità di agire nel mondo. Ma le sue prestazioni dipendono dall’interazione con processi sociali e quindi con esseri umani. Ciò che il software fa nel mondo – o al mondo – lo fa sempre nella relazione con altri agenti.

Ciò lo colloca in una posizione ambigua. Non riusciamo a vederne solo la dimensione strumentale: il software tende a occupare – confondendoli – gli spazi del reale, dell’ideale e dell’immaginario.

Pochi hanno rappresentato così vividamente, in letteratura, questa caratteristica del software come lo scrittore cyberpunk Niel Stephenson. Nel suo Snow Crash (1992) il potere magico del software è descritto attraverso l’analogia con i me che, nella mitologia sumera, sono le istruzioni («codici») che fondano la civiltà. Custode dei me è il dio Enki. Il romanzo sviluppa l’idea che, attraverso la Ur-Lingua dei me, i sacerdoti sumeri avessero il potere di programmare le funzioni del cervello: i me come virus neurolinguistici. Il dio Enki sviluppò un contro-virus, noto come nam-shub, che segnò il passaggio dalla Ur-Lingua (il BIOS o firmware del cervello umano) al pluralismo delle lingue del mito di Babele. Snow Crash è un virus è agisce come i me, riprogrammando il tronco encefalico degli hacker.

Il dispositivo

La categoria di dispositivo – intesa nei termini in cui l’ha sviluppata Michel Foucault in tutto il suo lavoro e, in modo specifico, nel saggio Sorvegliare e punire – appare centrale oggi per comprendere il rapporto che instauriamo con le tecnologie computazionali. L’espressione è utilizzata comunemente per designare un congegno fisico atto ad assolvere una determinata funzione. Spesso in sua vece si ricorre al termine inglese device. Qui si vuole invece intendere il dispositivo in senso filosofico, come governo strategico delle azioni.

Il dispositivo è tutto ciò che orienta i comportamenti e le opinioni degli esseri umani. Il dispositivo è una rete di elementi materiali, discorsivi e umani che entrano in gioco per definire una relazione di potere. L’algoritmo non è il dispositivo. Piuttosto esso ne è parte. Potremmo dire che il dispositivo è il luogo in cui installiamo l’algoritmo o, meglio ancora, il processo che governa la relazione dell’algoritmo con gli agenti umani.

Vi è una legatura fra il concetto di medium e quello di dispositivo. Il medium non è solo ciò che media fra noi e il mondo, ma è anche un elemento fondante del dispositivo.

Il disagio nella postmedialità

Per «cultura postmediale» intendiamo una cultura che dà i cosiddetti nuovi media per scontati e che è fortemente condizionata – negli atteggiamenti, nelle motivazioni e nelle aspettative – dalle tecnologie digitali, o tecnologie della connessione.

Perché, associato a questo stato di connessione permanente, avvertiamo un disagio? Perché la connessione permanente, il sovraccarico informativo e la mediatizzazione di tutto – relazioni private, scienza, letteratura, politica e religione – ci impediscono sempre più spesso di rivolgere al mondo uno sguardo attendo e tranquillo. Immaginazione, empatia, sviluppo di processi analitici (analogia e inferenza) ed esercizio del pensiero critico sono messi sotto scacco dall’ipercomunicazione.

Marshall McLuhan suggerisce che le tecnologie della connessione siano esternalizzazioni della sensibilità umana. Esse vanno intese come protesi, estensioni, strumenti che hanno lo scopo di amplificare la nostra capacità di comunicare. Per McLuhan l’estensione tecnologica nasce come risposta allo stato di sovrastimolazione di un senso. La risposta consiste nell’amputazione del senso eccitato e nella sua esteriorizzazione. Ciò produce uno stato di torpore (narcosi) che impedisce il riconoscimento di sé da parte del soggetto e quindi induce uno stato di choc.

Bibliografia essenziale

Computer e linguaggio dei nuovi media

Lev Manovich, The Language of New Media, Cambridge, MA, MIT Press, 2001 (ed. it. Il linguaggio dei nuovi media, tr. di Roberto Merlini, Milano, Olivares, 2011).

Lev Manovich, Software Culture, Milano, Olivares, 2010.

Lev Manovich, Software Takes Command, New York City, NY, Bloomsbury Academic, 2013.

Rimediazione

Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, Parigi, Renduel, 1832 (ed. it. Notre-Dame de Paris, tr. di Clara Lusignoli, Torino, Einaudi, 1972)

Marshall McLuhan, Understanding Media: The Extensions of Man, New York City, NY, McGraw-Hill, 1964 (ed. it. Capire i media. Gli strumenti del comunicare, tr. di Ettore Capriolo, Milano, Il Saggiatore, 1967).

Jay David Bolter e Richard Grusin, Remediation: Understanding New Media, Cambridge, MA, MIT Press, 1999 (ed. it. Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, tr. di Alberto Marinelli, Milano, Guerini e Associati, 2003).

Cultura convergente

Nicolas Bourriaud, Postproduction. La culture comme scénario: comment l’art reprogramme le monde contemporain, Parigi, Presses du réel, 2003 (ed. it. Postproduction. Come l’arte riprogramma il mondo, tr. di Gianni Romano, Milano Postmedia Books, 2004).

Henry Jenkins et al., Confronting the Challenges of Participatory Culture: Media Education for the 21st Century, Cambridge, MA, MIT Press, 2009 (ed. it. Culture partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo, tr. di Giulia Marinelli, Milano, Guerini e Associati, 2010.

Henry Jenkins, Convergence Culture: Where Old and New Media Collide, New York City, NY, New York University Press, 2006 (ed. it. Cultura convergente, tr. di Vincenzo Susca e Maddalena Papacchioli Milano, Apogeo, 2007).

Agency e magia del software

Niel Stephenson, Snow Crash, New York City, NY, Bantam, 1992 (ed. it. Snow Crash, tr. di Paola Bertante, Milano, Rizzoli, 2007).

Steven Levy, Hackers. Heroes of the Computer Revolution, Garden City, NY, Doubleday, 1984 (ed. it. Hackers. Gli eroi della rivoluzione informatica, traduzione di Ermanno Guarneri e Luca Piercecchi, Milano, Shake, 2002).

Wendy Hui Kyong Chun, On “Sourcery”, or Code as Fetish, in Configurations, 16, 3, 2008, pp. 299-324.

Cosimo Accoto, Il modo dato. Cinque brevi lezioni di filosofia digitale, Milano, Egea, 2017.

Dispositivo

Michel Foucault, Surveiller et punir: Naissance de la prison, Parigi, Gallimard, 1975 (ed. it. Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, tr. di Alcesti Tarchetti, Torino, Einaudi, 1976).

Michel Foucault, Dits et Ecrits II. 1976-1979, Parigi, Gallimard, 1994.

Giorgio Agamben, Che cos’è un dispositivo?, Roma, Nottetempo, 2006.

Condizione postmediale e disagio

Ruggero Eugeni, La condizione postmediale. Media, linguaggi e narrazioni, Brescia, Editrice La Scuola, 2015.

Marshall McLuhan, Understanding Media: The Extensions of Man, New York City, NY, McGraw-Hill, 1964 (ed. it. Capire i media. Gli strumenti del comunicare, tr. di Ettore Capriolo, Milano, Il Saggiatore, 1967).

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