Cécile Kyenge

Nazismo e negritudine

Il parlamento israeliano discute in questi giorni una proposta di legge che, se approvata, renderà illegale l’uso del termine nazista e di altre parole associate al Terzo Reich. In pratica – osserva Amir Fuchs, ricercatore presso l’Israel Democracy Institute che si oppone alla proposta – se uno studente quindicenne definirà “nazista” il suo professore parlandone con un compagno di classe, anche se si tratta di una battuta, tecnicamente commetterà un reato (ne riferisce Jodi Rudoren sul “New York Times” di oggi: Israel’s Efforts to Limit Use of Holocaust Terms Raise Free-Speech Questions).

Colpisce il senso profondo della norma proposta: bloccare, con la forza della legge, l’evoluzione semantica e la variabilità pragmatica della lingua. Bloccare l’evoluzione semantica nel senso che nazista non potrà avere altro significato che “esponente o fautore del nazionalsocialismo” (da notare che il vocabolario Treccani prende oggi in considerazione anche un altro significato, con valore di epiteto ingiurioso e spregiativo, ma non necessariamente riferito all’esperienza storico-politica del Terzo Reich). Bloccare la variabilità pragmatica, nel senso che esclude la possibilità di usare il termine in contesti scherzosi, goliardici o ironici. Mi viene in mente una bella battuta di Mordechai, il mercante di mobili a capo dei finti nazisti, nel film belga Train de vie: “Il tedesco? È come parlare yiddish, ma senza l’ironia”.

In sintesi, la legge impedirebbe l’uso non letterale della parola nazista. Intanto in Italia un senatore della Lega Nord, Massimo Bitonci, accusa il ministro all’Integrazione Cécile Kyenge di favorire la negritudine. Anche in questo caso siamo in presenza di uno shift semantico: l’espressione negritudine identifica infatti un movimento culturale e letterario, ma il Bitonci deve aver pensato – nella sua rabbiosa ignoranza – che si trattasse di un insulto; o comunque ha voluto usare la parola con tale connotazione. Colgo un nesso fra i due episodi, quello israeliano e quello italiano: entrambi dimostrano la difficoltà di codificare il significato delle parole, forzando le intenzioni di chi le utilizza. Del resto già Charles Bally, uno dei padri della semantica moderna, osservava che i campi concettuali e le rispettive denominazioni mutano nel tempo, in quanto non sono qualcosa di oggettivo, ma si producono nelle menti dei parlanti. Così per Bitonci la Padania è la Patria, mentre per me non è neppure una mera espressione geografica.

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