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Google in Cina, la sfida continua

Dal 2010 l’infrastruttura che ospita il servizio di ricerca di Google per il mercato cinese è basata a Hong Kong. Gli utenti che effettuano una chiamata http verso il dominio Google.cn sono automaticamente ridiretti verso Google.com.hk. In questo modo, grazie alla speciale giurisdizione riconosciuta all’ex colonia britannica, Google può operare senza sottostare agli obblighi imposti agli altri motori di ricerca basati nella Cina continentale – o mainland China – siano essi locali (Baidu) o globali (Bing, Yahoo). In particolare Google non è costretta a eliminare dal proprio database i termini sgraditi alla censura di Pechino, secondo una lista che le stesse autorità aggiornano quotidianamente (com’è noto, i service provider cinesi che non ottemperano a quest’obbligo si vedono subito revocare la licenza).

Tuttavia fino a oggi ciò non ha garantito la piena fruibilità del servizio di Google da parte di coloro che vi accedono dalla Cina. Una query “sbagliata”, ossia contente uno o più termini inclusi nella lista nera della censura cinese, genera messaggi di errore tipo “This webpage is not available” o “The connection was reset”. Questo perché l’infrastruttura di cyber-sorveglianza di Pechino, denominata Great Firewall, intercetta e filtra le chiamate http effettuate dalla Cina verso il mondo esterno impedendo che si risolvano in modo corretto. Alcuni esempi di richieste non risolte sono illustrati nel video qui sotto:

Da un paio di giorni, però, Google ha implementato una funzionalità che segnala preventivamente agli utenti quali termini generano questo comportamento, invitando a usare ideogrammi alternativi, oppure suggerendo la traslitterazione alfabetica dei caratteri cinesi (meno vulnerabile alla censura). È stata la stessa Google a darne notizia nel suo blog ufficiale, con un post del 31 maggio (Better search in mainland China). Ecco come si presenta il nuovo messaggio preventivo notificato da Google Hong Kong, quando l’utente inserisce nella search box un termine destinato a subire il filtro della censura:

Google HK search box

Le contromisure della controparte non si sono fatte attendere. Nel giro di 48 ore, infatti, le autorità di Pechino hanno bloccato l’accesso dalla Cina al file javascript (visibile qui) messo a punto da Google per garantire la funzionalità appena descritta. In sostanza tutto ritorna come prima, almeno dal punto di vista della user experience di un cinese che naviga nel Web senza l’impiego di proxy o VPN. Se non che Google ha voluto lanciare un segnale chiaro circa la volontà di garantire ai propri utenti un’esperienza integra. Questa volontà sarà certamente interpretata come una sfida dal regime cinese, il quale potrebbe ora essere tentato di alzare a propria volta il tiro e di bloccare definitivamente l’accesso a tutto il dominio Google.com.hk.

Sui possibili scenari futuri vale la pena, come sempre, di vedere le considerazioni di Rebecca Mackinnon (Google Confronts the Great Firewall, “Foreign Policy, 31 maggio 2012)

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