Cesare Pavese

Nel testo

L’esperienza estiva di riscrittura e condivisione del capolavoro di Cesare Pavese attraverso Twitter, benissimo descritta da Hassan Bogdan Pautàs nel suo post della scorsa settimana (Ri)leggendo #LunaFalò, è stata entusiasmante. Ed è stato bello concluderla fuori da Twitter, fra le colline dell’Alta Langa.

Voglio tornare su quell’esperienza, per approfondirne in particolare un aspetto. Si è detto “riscrittura de La luna e i falò”. In realtà, per quanto mi riguarda, si è trattato di un lavoro di lettura e decostruzione. La distinzione è importante. Ho usato Twitter non per tradurre il testo di Pavese – e dunque produrre un nuovo testo, il quale si desse come parafrasi esplicativa, riassunto, rifacimento, parodia o imitazione – ma per leggerlo. Ho inteso compiere un atto critico, non letterario. Ovviamente resta la domanda: perché Twitter si è rivelato uno strumento di lettura potente? A mio avviso per due ragioni fondamentali. La prima è che la necessaria brevità di ogni output (i famosi 140 caratteri) induce allo scavo. Più brevi significa più profondi. La seconda ragione è che la piattaforma abilita un’esperienza collettiva quasi-sincronica, che si traduce in un corpus ampio di frammenti con un surplus di significati rispetto ai flussi dei singoli contributori. Ed è interessante notare come tale corpus si presti a due modalità di fruizione distinte: in tempo reale, ossia mentre l’esperimento si dipana e i flussi si accavallano fertilizzandosi a vicenda; ex post, ossia in sede di rilettura di tutto il materiale prodotto, dopo la conclusione dell’esperimento.

La luna e i falò

Decostruzione, dunque. Voglio approfittarne per rendere omaggio al mio maestro di studi universitari, Cesare Segre. Formato alla scuola di Segre quando ero studente di filologia romanza, ho ripercorso la strada tormentata che va dallo strutturalismo all’ermeneutica e al decostruzionismo. Nutrito di ecdotica e critica testuale, sono stato tentato da Ricoeur e Derrida. Oggi anche Segre, forse, si definirebbe post-strutturalista: mi sembra che lo lasci intendere nella sua ultima, bellissima raccolta di saggi, Critica e critici (Einaudi, 2012).

Ma che cosa resta – intonsa – della lezione strutturalista? Qual è il bene più prezioso che mi porto dietro dai banchi dell’Università di Pavia? L’idea della centralità del testo, quella centralità che oggi si vorrebbe in qualche modo persa, ma che invece va ribadita. È nel testo, e non altrove, che il fatto letterario si manifesta. #LunaFalò non è stato, per me, un tentativo di sbarazzarmi del testo di Pavese. Perché la verità è che, se ci occupiamo di letteratura, non possiamo sbarazzarci del testo. Ci muoviamo continuamente ai suoi margini, o piuttosto al suo interno. Fino a quando, in un estremo atto di amore, non lo laceriamo. Meglio morire nel testo, che sopravvivere senza di esso. Scrivere (dei tweet) per leggere. Non riscrivere un autore, ma scrivere dentro il suo testo per leggerne le tracce. Seguirlo nel suo gesto, che non è teorico, ma fisico. Il linguaggio letterario è infatti materia, non ontologia. E il lavoro dell’autore è scultoreo: è lavoro di composizione, scomposizione e ricomposizione: è un rovello, come scrive Montale in In limine.

P.S. Il tweetbook di #LunaFalò, realizzato da U10, è qui.

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