Pier Paolo Pasolini

Libertà e ideologia

L’esperienza di riscrittura/rilettura collaborativa (rilettura attraverso la riscrittura) degli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini, condotta nelle ultime settimane con la comunità di twitteratura.it, è stata secondo me di grande spessore emotivo e critico. Ne esco coinvolto e arricchito. Non ne tento qui un bilancio definitivo, che sarebbe prematuro in quanto presupporrebbe un’analisi più completa di tutti i materiali prodotti. Peraltro di tale esperienza si continuerà a parlare – ne sono convinto – attraverso le risorse della comunità. Voglio per ora limitarmi a una prima escursione nel territorio delle interpretazioni che il lavoro ha accumulato.

Definire Scritti corsari una mera antologia di testi di polemica politica sarebbe riduttivo. Tuttavia essi sono anche testi di polemica politica. Nel senso che pagano un tributo evidente al genere, alla loro collocazione e al periodo storico in cui sono stati concepiti e pubblicati: sono testi di polemica politica di un intellettuale radicale, scritti in Italia fra il 1974 e il 1975. Ne consegue che la loro lettura comporta il superamento di una barriera o, se preferiamo, di un codice: il codice dell’ideologia. Poiché – lo sappiamo – gran parte delle esperienze culturali degli anni Settanta si costituiva attraverso il linguaggio dell’ideologia.

Credo che per questa ragione ai riscrittori corsari sia toccata una missione ingrata. Un po’ tutti ci siamo domandati se fosse più giusto accettare la forma ideologica con cui il pensiero di Pasolini si manifestava, oppure considerare tale ideologia come una sovrastruttura. Dilemma tanto più imbarazzante poiché oggi viviamo nell’epoca del disincanto ideologico (il che – sia detto per inciso – significa vivere circondati dall’ideologico quotidiano, con un potere che ci tratta come preadolescenti e tenta di convincerci che le ideologie sono morte, che il bene del Paese non è di destra né di sinistra ecc.)

Ma che cosa intendiamo, quando parliamo di ideologia in Pasolini? Per rispondere a tale domanda può essere utile interrogare non il polemista degli Scritti corsari, bensì – andando indietro nel tempo – il Pasolini poeta, scrittore e critico della letteratura. C’è un testo in particolare, che è rivelatore del ruolo dell’ideologia nella posizione intellettuale pasoliniana. Mi riferisco all’articolo La libertà stilistica, apparso in origine sulle pagine di “Officina” (III, 9-10, 1957) e poi inserito nel volume Passione e ideologia (uso l’edizione einaudiana del 1985, interamente riveduta sugli originali). Qui Pasolini sembra alludere a tre componenti che formano il suo atteggiamento ideologico: 1) la componente “politica”, 2) lo “spirito filologico” di derivazione continiana e 3) lo “sperimentalismo stilistico”. Le riscritture che abbiamo praticato attraverso Twitter sono entrate in relazione soprattutto con la prima di queste tre componenti, per l’ovvia ragione che essa monopolizza gli Scritti corsari, nei quali l’autore sembra addirittura investito da una missione. Ma il richiamo alla filologia e alla sperimentazione non sono meno importanti e ci aiutano a capire i tormenti del Pasolini polemista. La filologia, leggiamo in La libertà stilistica, vale in quanto “poetica esigenza di chiarezza scientifica” o , ancora meglio, “illogica e inquieta presunzione di logicità”. La filologia è per Pasolini strumento di verifica “del rapporto storico e culturale [della letteratura] con la società”, è “amore fisico e sentimentale per i fenomeni del mondo, e amore intellettuale per il loro spirito, la storia”. Pasolini ci parla di una ricerca libera e, perciò, “dolorosa, incerta, senza garanzie, angosciante”. In definitiva, la filologia è lo strumento che il letterato assume per fare della sua ricerca uno percorso libero da pregiudizi e preconcetti.

In questo senso l’ideologia è ciò che mitiga la passione. Nella Nota che chiude il volume Passione e ideologia, lo stesso Pasolini si incarica di chiarirlo, sottolineando il fatto che i due termini non compongono un’endiadi (passione ideologica o appassionata ideologia), ma una disgiunzione: “Prima passione, ma poi ideologia”. Giungiamo insomma in prossimità di quello che è forse il senso di tutto il percorso intellettuale di Pasolini, includendovi l’ultima, drammatica stagione degli Scritti corsari e – aggiungo – di Petrolio: un percorso in cui l’elemento pulsionale (la passione) funge da motore creativo, ma si muove alla costante ricerca di una costruzione ideologica che gli dia forma. Alla fine, l’insopprimibile amore di Pasolini per il mondo trova nell’ideologia la sua voce.

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