Libera come l’aria che respiriamo

Da almeno un anno si discute molto sui possibili modelli di remunerazione degli editori nel nuovo ecosistema della notizia. Non nego che il tema abbia una sua rilevanza. Capisco la necessità di trovare soluzioni che garantiscano la sostenibilità dei nuovi modelli, il pluralismo informativo e la remunerazione del lavoro giornalistico. Ma questo dibattito rischia di assumere come scontata un’idea che è quanto meno controversa: l’idea cioè che l’informazione appartenga alla sfera dei beni privati e che, in quanto tale, debba essere nella totale disponibilità di chi la possiede. Questa convinzione è in un certo senso opinabile.  D’altra parte sostenere che l’informazione debba essere – al contrario – un bene disponibile per tutti, libero come l’aria che respiriamo, non rappresenta un pericoloso salto in avanti. È semmai vero il contrario: significa tornare ai fondamenti costituzionali di una democrazia liberale come gli Stati Uniti, quei fondamenti che in qualche modo sono stati messi in discussione dai grandi gruppi editoriali nel corso del Ventesimo secolo.

Nel 1918 una celebre sentenza della Corte Suprema americana poneva i termini della questione in modo inequivocabile, a fronte di una controversia fra le agenzie International News Service e Associated Press: l’articolo di un giornale può essere soggetto a copyright, ma la notizia in quanto tale non può esserlo. Inoltre qualsiasi interesse di chi produce un contenuto non soggetto a copyright – come la notizia, appunto – viene meno dopo la prima pubblicazione. In definitiva (International News Service v. Associated Press, 248 U.S. 215, U.S. Supreme Court dicembre 23, 1918, p. 250):

The general rule of law is, that the noblest of human productions – knowledge, truths ascertained, conceptions, and ideas – become, after voluntary communication to others, free as the air to common use. Upon these incorporeal productions the attribute of property is continued after such communication only in certain classes of cases where public policy has seemed to demand it.

Credo che lo stesso buonsenso percepibile in questa sentenza si ritrovi nel Public Domain Manifesto, che da lunedì scorso sta facendo il giro della Rete. Il testo del manifesto è disponibile nell’originale inglese e nella traduzione italiana. L’ho sottoscritto con convinzione e invito tutti a fare altrettanto. Si può “firmare” qui.

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