Cesare Pavese

La riscrittura come compassione

La riscrittura di un testo letterario con Twitter è un gioco?

Sì, lo è. Ma si tratta di un gioco terribilmente serio. Perché si configura come un’esperienza intellettuale (e allo stesso tempo artigianale: “C’est en écrivant qu’on devient écriveron”, ossia un “artigiano della scrittura”, diceva Raymond Queneau) che tocca alcuni nodi critici del rapporto fra autore, opera e lettore. Riscrivere, per me, non significa rifare. Vuol dire, semmai, intavolare un dialogo con un testo, con i suoi valori e i suoi contenuti. Riscrivere vuol dire leggere. Vuol dire mettersi in ascolto. La riscrittura è la compassione per il testo.

In sintesi si può dire che la twitteratura è un gioco: 1) plurivoco, 2) collaborativo, 3) popolare.

Plurivoco perché si manifesta esibendo una pluralità di approcci, tutti possibili, tutti legittimi. Usare Twitter per riscrivere un testo letterario può significare molte cose: farne la sintesi o isolarne dei frammenti, ripeterlo o variarlo, tentare un dialogo con l’autore o inseguire se stessi, svolgere una ricerca sulla forma o una riflessione sul senso, riconoscere nel testo una struttura coerente o decostruirlo, cedendo alla tentazione della significazione infinita, compierne una lettura filologica o svolgere un esercizio ermeneutico, o magari rivendicare – contro l’ermeneutica – i diritti dell’“erotismo artistico” (erotics of art), come scriveva Susan Sontag nel suo saggio Against Interpretation (Farrar, Straus and Giroux, 1964).

Soprattutto, l’esperienza della twitteratura è un tentativo di ridefinire criticamente quella che Geert Lovink chiama la “cultura dei commenti su Internet”. Oggi i commenti sono il tentativo disperato di essere ascoltati e insieme la manifestazione di una pulsione sprecata. Ricostruendo a suo modo una “archeologia dei commentari” Lovink ci ricorda che non c’è il testo, c’è semmai il sistema testo (fondante) – commentari. Il problema è che l’ermeneutica di massa del Web 2.0 non produce senso. Si tratta quindi di riprogettarla. Il lavoro di interpretazione attraverso la riscrittura tentato con #Leucò va in questa direzione.

La twitteratura, dicevo, è un gioco collaborativo. Perché ogni tweet condiziona gli altri, in uno sforzo interpretativo ed espressivo che in taluni momenti si fa addirittura corale. Il risultato è un testo collettivo che parla sul testo originale; e di questo testo collettivo stiamo cercando di capire che cosa fare. Attenzione, però: nel suo recentissimo Il falò delle novità (Utet, 2013) Stefano Bartezzaghi suggerisce l’idea di un definitivo passaggio dal genio solitario al genio di massa. Io non credo alla retorica dell’intelligenza delle folle, celebrata pro domo propria dalle centrali ideologiche del Web 2.0 e da una nutrita schiera di mosche cocchiere. Credo nelle esperienze collaborative che nascono all’interno di comunità autentiche.

Infine la twitteratura è un gioco popolare. Hanno riscritto i Dialoghi con Leucò centinaia di persone, in un contesto gioioso e antiaccademico, ma non per questo poco serio. Diamo qualche numero. #Leucò ha mobilitato 270 riscrittori, i quali in due mesi e mezzo hanno prodotto 24 mila tweet originali (quasi 45 mila con i retweet). Gli utenti dell’hashtag sono stati 800. Molte di queste persone non avevano mai letto i Dialoghi prima e si sono avvicinate a Pavese – amandolo e capendolo – grazie alla nostra iniziativa. #Leucò ha creato movimento in periferia, al nord come al sud (vedi il nucleo sardo, una delle colonne del progetto) e in posti dove purtroppo la letteratura non entra spesso, ha contribuito a smontare l’etichetta “piemontese” che talvolta Cesare Pavese si porta dietro e ha fatto vendere tante copie del libro in tutta Italia.

Insomma, la twitteratura fa bene alla letteratura.

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