La prova mancante

Dov’è la prova? Si chiede Mark Bullen nel suo blog Net Gen Skeptic. La domanda, che non vuole essere impertinente, si riferisce all’idea assai diffusa che l’immersione nel mondo dei media digitali renda le nuove generazioni differenti da quelle precedenti, in quanto trasformate nei loro processi cognitivi. Quest’idea, per quanto affascinante, viene di rado supportata da elementi di valutazione empirica. Invece, dice Bullen, chi afferma la diversa qualità della mente dei cosiddetti nativi digitali dovrebbe assumersi l’onere della prova. Su Net Gen Skeptic è disponibile uno studio redatto da Bullen insieme a Tannis Morgan e Adnan Quayyum, Digital Learners in Higher Education: Generation in Not the Issue, di prossima pubblicazione sul “Canadian Journal of Learning & Technology”, 30 settembre 2010, che incrina alcune certezze.

Bullen non è l’unico scettico in materia. Diversi contributi scientifici ci invitano ad affrontare il tema con cautela, separando il mito dalla realtà. Quando si parla di “effetto” dei media elettronici sul processi cognitivi delle giovani generazioni Il rischio di trarre conclusioni affrettate e di tipo deterministico è alto.

Nativi digitali

Intanto vale la pena di notare che sono osservabili diversi usi dei media interattivi da parte dei nativi digitali. Per esempio, studiando il comportamento di 2138 studenti olandesi di età compresa fra i 9 e i 23 anni, i ricercatori Antoine van den Beemt, Sanne Akkerman e P. Robert-Jan Simons, sono arrivati a identificare quattro cluster di utenti assai differenti fra loro (Patterns of interactive media use among contemporary youth, “Journal for Computer Assisted Learning”, 27, 2, aprile 2011, pp. 103-118). Secondo Hellen Johanna Helsper e Rebecca Eyon è anche possibile che un adulto diventi nativo digitale, nel senso che acquisisce competenze ed eseperienze nell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione analoghe a quelle acquisibili da un giovane (Digital natives: where is the evidence?, “British Educational Research Journal”, 36, 3, giugno 2010, pp. 503-520).

Nella stessa direzione vanno gli studi di Siva Vaidhyanathan (Generation Myth, “The Chronicle Review”, 19 settembre 2008), Sue Bennett, Karl Maton e Lisa Kervin (The ‘digital natives’ debate. A critical review of evidence, “British Journal of Education Technology”, 39, 5, settembre 2008 , pp. 775-786) e di Neil Selwyn (The Digital Native. Mith and Reality, presentato al Chartered Institute of Library and Information Professionals, 10 marzo 2009). Insomma, tutti a porsi la stessa domanda: dov’è la prova?

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