Giornalismo e ipertelevisione (15)

Concludo, con la lezione di oggi, il corso su Giornalismo e ipertelevisione svolto nel mese di marzo all’Università di Pavia. Questa mattina abbiamo tentato un excursus sulle interazioni fra Web e mezzo televisivo, mostrando alcuni esempi significativi di riusi, ibridazioni e contaminazioni espressive fra i due media.

Un primo tipo di riflessione si sviluppa a partire dalla pratica del video sharing. Le strategie e il mix di contenuti di YouTube stanno evolvendo. Significativa, in tal senso, la rimozione dal logo della tag-line “Broadcast Yourself”, decisa dalla società nel 2009. Molta acqua è passata sotto i ponti dalle 8 e 27 di quel fatidico 23 aprile 2005, quando il cofondatore di YouTube Jawed Karim condivise sul portale il primo video di 19 secondi:

Tuttavia YouTube continua a essere un grande laboratorio per la produzione non professionale di contenuti video (i cosiddetti user generated content). La nostra chiave di lettura deriva dal concetto di “networked individualism” elaborato da Barry Wellman. La Rete – osserva Wellman – sposta il focus dalle relazioni centrate sul gruppo (omogeneo, impermeabile e gerarchico) alle relazioni centrate sull’io. Per questo su Internet il culmine dell’individualismo si incontra con il massimo di socialità.

Where the hell is Matt?

In questo senso il caso di Where the hell is Matt? (oltre 76 milioni di visualizzazioni) è l’esempio più forte che io conosca di scorciatoia fra il sé e il mondo. La bizzarra danza di Matt Harding è un gesto di autoespressione gratuito e spensierato, al limite del narcisismo, ma allo stesso tempo molto potente:

Ancora più interessante, nella sua funzione di transcodifica e di ponte fra individuo psichico e mondo esterno, è l’uso di YouTube fatto da Amanda Baggs nel 2007. Amanda, affetta da disturbo autistico e incapace – in condizioni “normali” – di comunicare con gli altri, si inventa un codice espressivo che le permette di rivendicare il proprio spazio attraverso la condivisione del video In My Language:

Ma il Web è anche un grande incubatore di talenti artistici. Lo dimostrano l’incredibile storia dell’australiano Nick Vuijcic e il cortometraggio The Butterfly Circus di Joshua Wigel del 2009 (oltre 7 milioni di visualizzazioni fra YouTube e Vimeo):

Il paradigma del networked individualism e l’esplosione dei contenuti non professionali hanno esercitato un’influenza evidente sul videogiornalismo di questi anni: un’influenza formale, relativa cioè al linguaggio e alle modalità espressive utilizzate, ma anche concettuale: l’ideale della terzietà caro alle vecchie scuole giornalistiche è messo in discussione dal modello della narrazione coinvolta, prevalente su Internet. Burma VJ, il documentario del danese Anders Østergaard sulle proteste birmane del 2007 e sul ruolo svolto dai testimoni oculari di quelle vicende, armati di telecamere tascabili o semplici telefoni cellulari, costituisce la prima celebrazione ufficiale del grassroot reporting. Di seguito i primi dieci minuti del film:

Due anni dopo, la morte di Neda Salehi Agha-Soltan durante i disordini di Tehran, catturata da un video amatoriale e rivista su YouTube milioni di volte, ha offerto ulteriori spunti. Da un lato quelle immagini sono l’emblema del ruolo svolto da Internet durante le proteste per le elezioni iraniane del 2009. Dall’altro evidenziano l’incapacità del videoreporting non mediato di costruire una sicurezza ontologica, per dirla con Carlo Sorrentino (La fine della deadline e i nuovi formati giornalistici tra fiducia e memoria, 2008). Parafrasando Susan Sontag (On Photography, 1977), sono immagini che ci colpiscono, ma che non ci aiutano a capire. Ecco quindi l’esigenza di passare dalla mera registrazione dell’evento allo storytelling. Perché senza narrazione non può esserci memoria condivisa:

Ed è forse questo il lascito migliore dell’esperienza maturata dai giovani di piazza Tahrir nel 2011, anche se oggi dobbiamo constatare la scarsa capacità di quel movimento di incidere sull’evoluzione della società egiziana. In occasione della Primavera araba, il merito di Internet non è stato quello di raggiungere audience planetarie con una narrazione coerente e mobilitante, al punto da condizionare le agende di tante cancellerie. A ciò ha contribuito semmai lo storytelling globale di Al Jazeera e Al Arabiya. Internet è servita a mettere in discussione i monopoli narrativo-mediatici, a decostruire – giorno per giorno, attraverso la pratica del remix – le storie ufficiali del potere (rimando al mio Racconto della primavera araba, “Critica Liberale”, XVIII, 196, febbraio 2012, 37-39):

Infine un riferimento alle micro web tv, che svolgono un presidio territoriale sempre più importante. A lezione abbiamo parlato in particolare delle esperienze di Monti TV, CrossingTV e Bari TV. Esperienze che non sono solo di reporting iperlocale, ma anche di educazione all’uso dei media come strumento di autoespressione ed emancipazione. I materiali presentati in aula sono disponibili qui sotto:

 

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