Tutti a dire che la satira risentita e saccente di Sabina Guzzanti è giunta fuori tempo massimo, che ormai – uscito di scena il Cavaliere – un certo tipo di televisione non ha più mordente, se non presso un pubblico di reduci, e che quindi “Un due tre stella” non poteva non deludere. Della nuova trasmissione di La7 si è data insomma una lettura prevalentemente politica, così come in chiave politica viene per lo più interpretato il calo di ascolti accusato dalla televisione di Telecom Italia negli ultimi 3-4 mesi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ha scritto Giampaolo Pansa su Libero il 21 marzo scorso:
“Mitraglia” [Enrico Mentana, ndr] faceva un tigì d’assalto, impresa persino troppo facile contro un avversario sempre più alle corde. L’avvento del governo tecnico di Monti lo ha messo nei guai. A quali “nuove forme di narrazione” aggrapparsi? Essere pro o contro i professori?
È possibile a mio avviso un’interpretazione differente, anche se non opposta. Secondo me, nel caso di “Un due tre stella” e di trasmissioni analoghe (“The Show must go off”, per restare in casa La7, ma anche “Robinson” di Rai 3), abbiamo a che fare con un eccesso di ibridazione dei generi. La trasmissione di Guzzanti, per dire, integra tre forme televisive: satira politica, approfondimento giornalistico e talk show. Ciò obbliga lo spettatore a uno sforzo di focalizzazione eccessivo, alla ricerca di una unique viewing proposition che probabilmente non c’è. Nell’arco di oltre cento minuti di televisione la conduttrice ci appare ora nei panni dell’attrice comica, ora in quelli dell’intervistatrice da talk show (senza avere quel minimo di gigioneria che sarebbe indispensabile), ora in quelli della predicatrice a metà strada fra Grillo e Celentano. Un po’ troppo per un unico contenitore.
Ne abbiamo parlato oggi nell’ambito della tredicesima lezione su Giornalismo e ipertelevisione, i cui materiali sono disponibili qui sotto:
