giornalismo

Giornalismo: cosa resta?

Note per il mio intervento su giornalismo e nuove tecnologie al seminario di formazione per giornalisti e comunicatori sociali organizzato dalla Diocesi di Ragusa il 17 settembre 2016.

Le direttrici del cambiamento in atto

Che cos’è stata, per molto tempo, la notizia?

La risposta che segue non vale in assoluto, ma solo là dove si applica il modello di giornalismo di tradizione liberale, democratica e pluralista (Hallin e Mancini, ma anche Siebert, Peterson e Schramm).

Il prodotto intellettuale di una figura professionale (il giornalista) che analizza e riporta criticamente un fatto. Il giornalista era riconosciuto per la sua funzione di mediatore critico tra il fatto e il pubblico.

In una prospettiva sostanziale, la notizia era un testo.

E il testo trovava la sua collocazione all’interno di un contesto editoriale costituito da diversi elementi:

  • un’identità di marca (la testata)
  • un’identità mediale (stampa, radio, televisione)
  • un’identità strutturale (menabò, gabbia o flusso programmato)
  • un’identità paratestuale (occhiello, titolo, sommario ecc.)

Autore, forma testuale e contesto editoriale, dunque.

Questi tre elementi costituivano la garanzia di senso della notizia (non c’era “la notizia”; c’era “la notizia firmata dal tal giornalista, appartenente alla tale testata e collocata nella tal pagina o flusso con il tale taglio e rilievo”).

Tutto ciò ha a che fare con quel processo più complessivo – noto come framing – che consiste nell’influenza selettiva esercitata dai media nella percezione dei significati attribuiti dal pubblico alle notizie (Goffman). Il frame è uno schema cognitivo preconfezionato, che guida il pubblico nell’interpretazione delle informazioni e della percezione della loro rilevanza.

Che cosa è diventata / sta diventando / potrebbe diventare la notizia?

I cambiamenti riguardano le tre dimensioni indicate sopra:

  1. posizione della figura professionale
  2. natura del testo
  3. caratteristiche dello spazio editoriale

 

Posizione della figura professionale

Il ruolo del giornalista come mediatore critico tra fatto e pubblico appare in discussione in molti contesti (anche se non in tutti: sarebbe interessante sentire la posizione dei partecipanti al workshop su questo punto). Ciò accade per tre ragioni:

  1. Le tecnologie telematiche rendono agevole:
  • la registrazione degli eventi (= acquisizione in formato digitale)
  • la diffusione in tempo reale e senza limiti di distanza (= messa in rete)

Ciò determina, in molte circostanze, la disintermediazione del giornalista e la scomparsa della notizia:

  • il fatto raggiunge direttamente il pubblico (push)
  • il pubblico raggiunge direttamente il fatto (browse)
  • il pubblico raggiunge il contenuto indicizzato (search)
  1. Il ruolo del pubblico non più come mero consumatore di notizie, ma come agente attivo del processo di produzione, post-produzione e distribuzione è incoraggiato da dispositivi tecnico-politici di facile utilizzo e orientati alla condivisione (smartphone e servizi di social networking).

Va detto, peraltro, che il fenomeno del citizen journalism non è mai decollato; assistiamo semmai a forme di “citizen non-journalism”.

  1. La riduzione del tempo medio che intercorre fra l’accadimento del fatto e il consumo della notizia (news lifecycle) è – a causa di quanto detto ai punti 1 e 2 – drammatica. Tutto si consuma in tempo reale, non solo le informazioni relative a eventi drammatici (attentati, terremoti, …) ma anche di natura politica (risultati elettorali, dichiarazioni dei leader, …) e “soft” (competizioni sportive, eventi culturali, …) A causa di ciò, la produzione della notizia è sempre meno sorvegliata: non c’è tempo di verificare le fonti, non c’è tempo di rileggere, non c’è tempo di riflettere.

Due esempi recenti, relativi a fatti che si sono consumati così rapidamente in Rete da non avere concesso al giornalista di esercitare un ruolo di contestualizzazione, framing e commento, se non a posteriori:

  • Fertility Day
  • Commento di Matteo Salvini alla morte di carlo Azeglio Ciampi

 

Natura del testo

Il testo in formato digitale è un contenuto reso in forma numerica. Esso ha caratteristiche peculiari, a maggior ragione quando si trova a circolare in rete:

  1. È facilmente manipolabile, ossia può essere scomposto (principio della modularità) e declinato in infinite varianti (principio della variabilità) con semplici strumenti di post-produzione.

//Implicazioni pratiche per il giornalista: stretching della notizia, editing delle immagini fotografiche e in movimento, … (= il giornalista è sempre meno ideatore di contenuti originali, sempre più post-produttore di contenuti già prodotti; il giornalista è un dj, ossia mette in sequenza ciò che c’è già)

  1. gestibile in modo automatico, nel senso che molte fasi del processo di produzione e di distribuzione del contenuto possono essere sottratte all’intenzionalità umana.

//Implicazioni pratiche per il giornalista: correttore automatico, feed RSS, syndication della notizia, … (= il giornalista è sempre più ingegnere di processo)

  1. transcodificabile, ossia può essere trasferito da un formato all’altro, da una piattaforma all’altra, da un medium all’altro. Sempre più spesso ci confrontiamo con contenuti nati in un determinato contesto guardandoli in un altro. Pensiamo al caso della vignetta di Charlie Hebdo sul recente terremoto in Italia, che è stata “letta” e ha scatenato infinite discussioni in Rete, ma era concepita per apparire nel contesto di un settimanale satirico a pagamento.

//Implicazioni pratiche per il giornalista: web radio e web tv, podcasting, iframe, … (= il giornalista deve conoscere diversi formati e diversi linguaggi, ma soprattutto deve favorire la ricontestualizzazione dei contenuti)

  1. classificabile e ricercabile in quanto arricchito da un insieme di metadati, ossia una serie di informazioni su di esso.

//Implicazioni pratiche per il giornalista: attività di search engine optimization (= il giornalista non deve produrre solo contenuti, ma anche dati sui contenuti)

  1. difficile da proteggere dal punto di vista della proprietà intellettuale. //Implicazioni pratiche per il giornalista: si è sempre tentati di copiare e si corre il rischio di essere copiati

 

Caratteristiche dello spazio editoriale                                                                                  

Fino a ieri lo spazio editoriale era garante di senso del prodotto giornalistico. Il contenuto giornalistico risultava credibile nella misura in cui era associato alla firma di un professionista, al nome di una testata e a specifiche scelte di collocazione all’interno della testata stessa. Il prodotto giornalistico era racchiuso entro una cornice che lo rendeva interpretabile (e, al tempo stesso, lo connotava ideologicamente, politicamente, …)

Oggi il prodotto giornalistico viene fruito sempre di più privo di questa cornice, ossia fuori dal suo spazio editoriale. Ciò avviene a causa di due fenomeni congiunti:

  1. Il pubblico non consuma più il prodotto editoriale nel suo insieme (quotidiano a stampa, giornale radiofonico, notiziario televisivo, sito web, …) ma il singolo contenuto o porzione di esso, che raggiunge utilizzando motori di ricerca, piattaforme di social networking, telecomandi. Il pubblico fa cherry picking di notizie.
  1. Pubblicare notizie significa attivare un processo diasporico, farle uscire di casa (la testata-contenitore) mandarle in giro per la rete (motori di ricerca, piattaforme di social networking, feed RSS, aggregatori, …)

//Implicazioni pratiche per il giornalista: produrre una notizia non significa più redigere un testo, ma una costellazione di “testi” (snippet, tweet, aggiornamenti di stato, fotografie, immagini in movimento). Ciascuno di questi testi rimanda allo stesso fatto, e tuttavia si colloca in un contesto tecnico-editoriale specifico, non sempre pienamente controllabile dal giornalista.

Redigendo la notizia, quali fra questi elementi vi preoccupate di produrre?

  • Snippet per i motori di ricerca
  • Take per Twitter e Facebook
  • Teaser multimediali
  • Headline per la homepage

(Esempio: insiemeragusa.it, “Giornalismo: da dove ripartire”)

Siete consapevoli dell’importanza che, in prospettiva, potrebbero ricoprire nuovi canali?

  • Facebook Live (Guardian)
  • Telegram Channels (CNN, BBC News, Ansa)
  • Snapchat Stories (CNN, BBC)

 

Che fare?

Il paradosso di questa epoca è forse che, proprio nel momento in cui il ruolo del giornalista come mediatore critico tra fatto e opinione pubblica è messo in discussione, cresce il bisogno di nuovi strumenti che aiutino a interpretare un mondo sempre più complesso.

Inoltre non illudiamoci che la Rete abbia superato il problema dell’intermediazione. Semplicemente, nuovi gatekeeper (Google, Facebook) hanno sostituito quelli di un tempo (i giornali).

Un nuovo tipo di giornalista/giornalismo è possibile? Forse sì, a patto che la tradizionale missione di mediatore critico fra fatto e pubblico si arricchisca di nuove funzioni.

Due, in particolare:

  1. Post-produzione

//Casi di studio:

  • ly (Andy Carvin, Marina Petrillo)
  • Francesco Costa

 

  1. Data management (data journalism, SEO)
  2. //Casi di studio:
  • The Guardian
  • Il Sole 24 Ore Info Data Blog (Luca Tremolada)

 

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