Giornalismo e information literacy

Segnalo due risorse interessanti che si occupano di critical thinking e Internet literacy. La prima risorsa è il Critical Thinking Compendium creato da Howard Rheingold e altri studiosi sotto forma di wiki. L’obiettivo del Compendium è fornire un sopporto alla formazione delle competenze che consentono di identificare le informazioni credibili in Internet (searching credibility, crap detection ecc.) Una godibile lezione di Rheingold è contenuta nel seguente video:

Lo stesso Rheingold approfondisce il tema nell’articolo Crap Detection 101, pubblicato il 30 giugno 2009 su SFGate.

La seconda risorsa è costituita dalla categoria Web Site Evaluation di Google Directory.

Perché vale la pena di parlare di critical thinking, nel momento in cui ci si interroga sulle sorti in apparenza magnifiche e progressive del giornalismo in Rete e in particolare delle nuove forme di citizen journalism?

Negli Stati Uniti il critical thinking (la capacità di “ragionare criticamente”) è una vera e propria disciplina, spesso collegata alla didattica e insegnata nelle scuole. Benché vi sia una relazione fra critical thinking e metodo scientifico, il ragionamento critico è un portato della cultura umanistica: si pensi alla retorica, all’ermenenutica e alla filologia. Nell’appassionato pamphlet Filologia e libertà (Mondadori, 2008) Luciano Canfora stabilisce storicamente il collegamento tra filologia e libertà intellettuale: la filologia come palestra di indipendenza di pensiero, esercizio sistematico del dubbio e rifiuto del dogma. E la valutazione delle fonti è parte integrante del critical thinking. Rivendico il mio background filologico ricordando che, nell’ambito della critica testuale, il lavoro di analisi e selezione delle fonti si chiama più propriamente ecdotica.

Ma anche nell’attività giornalistica la verifica delle fonti è celebrata come una fase essenziale, benché praticata in modo sempre più svogliato. Attraverso il processo di gatekeeping tradizionalmente inteso i mass media hanno svolto fino a ieri una funzione fondamentale nell’elaborazione del discorso pubblico. Oggi c’è chi parla di network gatekeeping (vedi gli studi di Karine Barzilai-Nahon). Si tratta di un salto di prospettiva che introduce tre importanti cambiamenti di prospettiva. Il primo cambiamento consiste nell’evidenziare la presenza di nuovi gatekeeper all’opera nella società dell’informazione a rete. Il secondo cambiamento riguarda l’inserimento di un attore inedito nel modello, ossia le entità soggette a gatekeeping (i cosiddetti gated). Il network gatekeeping si incarica di descrivere le relazioni possibili fra i gated e i gatekeeper. Il terzo e più importante cambiamento di prospettiva consiste nel passaggio da una visione selettiva a una di tipo negoziale. Se nel modello tradizionale il focus è sull’attività di filtro del gatekeeper, nel network gatekeeping esso si sposta sul negoziato fra gli attori del processo e sull’impatto di tale negoziato su tutti gli aspetti del controllo dell’informazione: formato, tempi di rilascio, contestualizzazione, iterazione del messaggio, ecc.

Il modello del network gatekeeping ha il pregio di superare la visione ingenua di tanta pubblicistica recente, secondo la quale nella società in rete (networked society) l’ideale del cittadino ben informato sarebbe finalmente raggiungibile, in quanto le nuove tecnologie permetterebbero a chiunque di accedere a qualunque fonte, senza più bisogno di intermediazioni di sorta. La società dell’informazione sarebbe, secondo tale visione, una società di pari che, per il solo fatto di essere interconnessi, dispongono della capacità di accedere a un sapere collettivo, smisurato ma sempre disponibile. L’euristica basata sull’idea di delegare ad altri parte delle nostre scelte cognitive (modello su cui si è fondato il ruolo del giornalismo tradizionale) è ancora valida. Lo è forse di più in quanto l’esigenza di ridurre la complessità e gestire il sovraccarico informativo, in condizioni di tempo e attenzione limitati, è oggi maggiore di ieri (vedi gli studi di Andreina Mandelli). In questo senso l’idea di una nuova forma di cittadinanza e la ricerca di un nuovo tipo di giornalismo viaggiano di pari passo: se il cittadino all-informed e all-participant è un costrutto ideologico, allora viene meno anche l’illusione di una società priva di gerarchie cognitive.

Si tratta semmai di comprendere meglio le dinamiche del nuovo gatekeeping. In esso il cittadino ha certamente un ruolo più attivo, nella misura in cui può valutare la qualità dei gatekeeper tradizionali, confrontare il proprio sforzo cognitivo con quello degli altri cittadini e, occasionalmente, accedere in modo diretto alle fonti di informazione. Per fare questo, però, il cittadino – quello che Michael Schudson chiama monitorial citizen – deve disporre di alcune abilità. Deve cioè essere in grado non solo di assorbire l’informazione dalla Rete, ma anche di verificarla attraverso un lavoro di contestualizzazione e valutazione critica. In definitiva deve essere una information literate person.

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